La filiera agroalimentare nazionale. Cosa vale e chi sgomita per rappresentarla

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Sinceramente non so se alla fine si imporrà Prandini o Barilla. Se Mediterranea la spunterà su Filiera Italia, se troveranno un percorso comune   e se la Grande Distribuzione continuerà a non schierarsi. Lo scontro che si è aperto, però, è al calor bianco. C’è in gioco la leadership dell’intera filiera alimentare nazionale e il rapporto con il Governo. L’industria alimentare di marca si sente assediata da tempo. Da una parte l’inflazione ha spinto i consumatori in parte verso  i discount e la marca del distributore, dall’altra Coldiretti con Filiera Italia punta alle singole imprese rinvigorita nel suo protagonismo dal rapporto privilegiato con il Governo.

L’intervista  di Paolo Barilla al Corriere serve proprio a provare a far uscire dall’angolo Unionfood. L’associazione mostra i muscoli mettendo in campo le sue  530 aziende. «I nostri associati sono grandi aziende centenarie che portano il nostro made in Italy nel mondo, imprese globali che operano in Italia e tante pmi familiari.» ha affermato Paolo Barilla, che oltre a essere vicepresidente, insieme al fratello Luca, del gruppo Barilla è presidente di Unionfood. E ha concluso; “L’attività dell’associazione, inoltre, riassume tutte le esigenze delle industrie associate, player con prospettive differenti, ma con una unica strada comune: la cultura del cibo e del modello italiano. Il 70% dei prodotti agricoli nazionali viene acquistato e trasformato da Unionfood”. In poche parole: “siamo noi i leader del Made in italy” nella filiera. 

L’elezione di  Emanuele Orsini in Confindustria  li rinfranca e chiude una fase iniziata con le incomprensioni del 2020  quando la confederazione di via dell’Astronomia guidata da Carlo Bonomi aveva tirato le orecchie proprio alle industrie alimentari aderenti a Unionfood allora guidata da Marco Lavazza, sulla loro disponibilità a chiudere il precedente rinnovo del CCNL in contrasto con il “patto di fabbrica”. Era  quindi inevitabile che aspettassero il momento più propizio per lasciare la panchina dove erano stati confinati e provare a farsi sentire, alzando la voce. Toccherà al Governo gestire la querelle. Il rapporto tra l’esecutivo e Coldiretti è solido ma il Governo non ha interesse ad aprire un nuovo fronte con Confindustria. Lo stesso Presidente, Orsini,  non può, però, tirare troppo la corda. Ha bisogno di ricostruire rapidamente un’interlocuzione con il Governo. Oggi nessuna confederazione (salvo proprio Coldiretti sulle sue materie) può dettare l’agenda al Governo. Quindi la sortita di Unionfood, con Confagricoltura al seguito in evidente contrapposizione a Coldiretti, in  questo contesto politico rischia di trasformarsi in un autogol. Per questo  sarebbe auspicabile ricomporla.

Prandini e i suoi, inutile nasconderlo,  hanno capito per tempo lo scenario politico che si andava aprendo, lo hanno favorito elettoralmente, hanno scommesso sulla sua durata, e, quando è partita la rivolta dei trattori in tutta Europa, in Italia l’hanno sgonfiata in poco tempo giocando in squadra, proprio con il Governo. Filiera Italia risale al 2018. È una fondazione senza scopo di lucro nata proprio per sostenere e valorizzare il cibo 100% italiano. Ha più di un centinaio di soci  e si è aperta anche alla partecipazione di aziende e enti esterne al comparto come tra le  altre, Eni, Snam, Enel, Terna, Cassa depositi e prestiti (Cdp), Poste Italiane e Banca Intesa. E diverse insegne GDO ci hanno creduto. Alcune multinazionali come LIDL e Carrefour sostengono, e non a parole, l’export di prodotti italiani nel loro circuito mondiale. 

Lanciare un’associazione contro l’altra con il rischio di renderle poco efficaci entrambe non ha alcun senso. Eppure un’altra strada sarebbe possibile. Valerio de Molli Managing  Partner e AD di THEA ci prova da otto edizioni a far comprendere all’intero comparto l’importanza e il peso  dell’agroalimentare italiano, se affrontato e proposto unitariamente.

Nel recente meeting di Bormio ha snocciolato i dati che raccontano in modo preciso e dettagliato di cosa stiamo parlando. La filiera agroalimentare nazionale si conferma un asset strategico per la competitività del Paese. 251 mdi di fatturato di cui 74,4 dal comparto agricolo, 66 mdi di valore aggiunto di cui 37 del comparto agricolo, 18 mdi di investimenti di cui 12 del comparto agricolo, 3,3 milioni di occupati di cui 2,8 mio del comparto agricolo, 1,2 milioni di imprese di cui 1,1 milioni nel comparto agricolo,  62 milioni di export di cui 8,8 del comparto agricolo.

La filiera agroalimentare nazionale è prima per valore aggiunto generato tra i principali settori manifatturieri. 66 mdi contro i 28 del tessile abbigliamento, il 24 della gomma plastica 14,9 dell’automotive, il 13 dell’elettronica, il 12 della chimica.  Aggiungo che la  filiera agroalimentare estesa (agroalimentare, intermediazione, Horeca, distribuzione e filiere attivate a monte e a valle) genera di 334,5 miliardi di valore aggiunto (19% del PIL). Tutto bene quindi? Purtroppo, no.

Sempre Valerio De Molli ci ricorda che l’inflazione alimentare è tre volte superiore all’indice dei prezzi, i costi delle materie prime sono aumentati significativamente, il nostro export agroalimentare è il 5° in Europa, la nostra bilancia commerciale è negativa (-0,7) guidata dai 13,3 mdi della bilancia agricola, l’83% del comparto industriale è formato da piccole imprese che producono l’11% del fatturato complessivo e, infine, dobbiamo fare i conti con i 63 mdi dell’Italian sounding che, recuperato, ci permetterebbe di raddoppiare le nostre esportazioni.

Da questo scenario si comprende bene le ragioni dello scontro per assicurarsene la leadership. Nessuno vuole essere tagliato fuori dalle decisioni che contano e che incidono sul settore. È vero, Prandini si trova in pole mentre industria (e GDO) sanno  benissimo cosa può comportare un disequilibrio di potere nella filiera. Filiera italia è stata ed è un’ottima intuizione. Unionfood dovrebbe prenderne atto e più che contrastarla dovrebbe collaborare. E Coldiretti, da parte sua,  dovrebbe capire che, puntare a stravincere, non è una buona strategia sui tempi lunghi. Spetta però al Governo sostenere i percorsi di valorizzazione del Made in Italy, dove destinare le risorse, e come gestire l’intero perimetro se le parti in gioco dovessero continuare a litigare. Ha un discreto potere di convincimento e di indirizzo. Spero lo utilizzi. 

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