Cultura manageriale e risorse. Il nodo gordiano della Grande Distribuzione italiana

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Riparto dalla vicenda Decò Italia. Rifletto e cerco di andare più a fondo su ciò che ha proposto alla riflessione  Mario Gasbarrino su LinkedIn. Il mantra è “mettersi insieme, conviene”. Soli non si va da nessuna parte. È vero. Mi pongo però un’altra domanda. Ma c’è veramente qualcuno su piazza in grado di  andare “oltre” ciò che ha costruito nella sua vita o ha ereditato da chi c’era prima di lui? In sostanza, quello che temo, è che non manchino solo le risorse economiche per crescere  come ricorda Gasbarrino,  ma anche la cultura imprenditoriale e manageriale necessaria.

Per crescere, non bastano le risorse, ovviamente indispensabili, occorre avere sogni nel cassetto, visione, coraggio e, intorno a sé, una squadra. Chi vuole crescere e competere deve andare “oltre” proprio dove i concorrenti  non se la sentono. Parafrasando  Frida Kahalo, chi assume dei rischi, vede orizzonti dove altri vedono confini invalicabili. Spesso chi guarda lontano è “ossessionato” dai suoi obiettivi. E chi gli sta intorno, pur dovendo tenere il ritmo,  non sempre ne capisce l’approccio. Brunelli, Caprotti, Podini, Panizza, Pomarico, Bastianello, Ratti, e pochi altri ancora, ciascuno a modo suo, ha visto prima nei propri sogni dove sarebbe  voluto arrivare.

Grandissimi profili della GDO del novecento, tutti però con un limite. Ciascuno ha giocato nel suo campionato, nazionale o regionale che fosse. Nessuno le coppe europee. Nell’industria non è stato così. I migliori si sono contraddistinti ovunque. E questo è stato già il  segnale evidente di un limite culturale. Bravi si, ma nel cortile di casa. Bernardo Caprotti lo ha sottolineato in una lettera al Corriere l’11 settembre del 2013: “Diversamente da Armani e Luxottica che hanno «creato», noi abbiamo soltanto cercato di dare un po’ di eleganza, di efficienza, di carattere ad un mestiere assai umile“. Così è. È uno dei pochi settori che non si è mai immaginato in un campo da gioco molto più grande. Tutti bravi a stigmatizzare gli errori delle multinazionali (che pur ci sono stati) incapaci di giocare contro le nostre difese arcigne ma nessuno dei nostri in grado di giocare in trasferta. Questa purtroppo è la realtà.

Crescere, non è quindi un esclusivo problema di mancanza di risorse economiche. Mancano soprattutto imprenditori e manager in grado  di affrontare scenari futuri o M&A complesse. Magari fosse solo un problema di piccoli imprenditori! Le stesse centrali di acquisto, per quanto ben governate, restano un elemento di stabilizzazione a difesa del sistema esistente. Non certo promotori di rotture di equilibri consolidati.  C’è un evidente problema di management. Ottimo fino a certi livelli di fatturato, probabilmente inadatto ad andare oltre.

Se lasciamo stare le tradizionali multinazionali, oggi, anche nell’esclusivo club “Over 5 billion” GDO (Eurospin, LIDL, Coop, Conad, Esselunga) chi sta immaginando la propria azienda tra cinque o dieci anni?” E, se lo fa, come la immagina?  E cosa sta facendo per mettere a terra quella visione? Eurospin sembra felice e pago della sua primazia tra i discount, Coop ha altro a cui pensare, in Conad non tutti hanno ancora compreso fino in fondo, che   l’acquisizione di Auchan avrebbe dovuto rappresentare un punto di partenza e non di arrivo.

Tra le italiane nel top club, quindi, resta  solo Esselunga. Indipendentemente dalla proprietà che deciderà quello che riterrà più opportuno, l’azienda per potenzialità inespressa a certi livelli resta la numero uno. Indubbiamente naviga in un mare complesso, declina, commette errori macroscopici, perde qualche battaglia, intravede in lontananza iceberg pericolosi, ma le altre, su piazza, non sono da meno. Certo, soffre discount e concorrenti locali, ma la distanza costruita negli anni dall’anziano leader è troppo ampia per essere colmata da altre insegne che o sono troppo piccole per insidiarne la leadership vera   o devono difendersi esse stesse  dalla concorrenza.  È però l’unica delle top five che potrebbe avere tutte le qualità per interpretare un nuovo ruolo in commedia.

Marina Caprotti è AD dal giugno 2020. Non da ieri. Sono passati ben quattro anni. Personalmente ho capito le mosse tattiche. Non ho capito la strategia. Per ora mi sembra piuttosto confusa. Più volte ho sottolineato le interessanti iniziative fuori schema messe in atto così come le inutili forzature organizzative interne. Penso al format di Cascina Merlata, ai test di Mind, a Eccellenze Esselunga, alla enoteca online, alle stesse Esse. Così come, in negativo,  la rimozione di risorse manageriali utili all’azienda. O il confronto perdente con i Cobas sul quale la dispersione  del know how aziendale nella gestione delle risorse umane pesa come un macigno.  O lo sconto che più sconto non si può di luglio e agosto. Tutte situazioni  che possono far pensare ad una navigazione a vista in attesa d’altro  ma anche far intravedere,   almeno l’ambizione,  di provare a  “lasciare la strada vecchia per una nuova” indipendentemente da un ritorno economico immediato.  A mio parere, è però il disegno complessivo che non si vede.

Come ho già scritto, c’è una domanda cruciale che un imprenditore si trova a dover rispondere. Innanzitutto se l’impresa che ereditato dai suoi genitori e che è stata costruita in un certo modo debba andare avanti sempre così. Le imprese sopravvissute o affermate, anche senza necessariamente crescere in doppia cifra, sono quelle dove le generazioni che le hanno ricevute in qualche modo le hanno reinterpretate attualizzandole. In altre parole se da “eredi”  si sono fatti, essi stessi,  “imprenditori”. L’impresa non basta replicarla uguale a sé stessa quando cambia il contesto intorno. Va necessariamente trasformata.

Ecco perché  da Esselunga, l’arrivo di Sami Kahale per il post Caprotti senior, mi aveva fatto pensare ad un potenziale innovativo altrettanto dirompente di quello messo in piedi, nella seconda metà del novecento, dal suo fondatore, più che la “semplice” gestione dell’esistente. Per ora così non è stato.  Intanto oltre a Conad, la stessa LIDL, l’altra protagonista del top club, si conferma una grande azienda a 360°. Altro che discount. Ormai tra le più importanti del comparto. Ha le risorse economiche per continuare la sua crescita, un management e collaboratori coesi e motivati, attrae risorse giovani, ha una visione di cosa vuole essere  in Italia e in Europa.

La partita vera quindi non è semplicemente tra GDO tradizionale e discount, tra formati distributivi, tra piccoli e grandi,  tra promozioni a getto continuo o EDLP in un’eterna competizione affollata e noiosa per chi la racconta, tra dirimpettai locali. Sarà innanzitutto, a livello macro,  tra chi si strutturerà con squadre all’altezza della sfida e sarà in grado di fare acquisizioni anche attraverso un rapporto con il sistema bancario e i fondi di investimento con strategie di lungo periodo  e, dall’altra parte, chi si limiterà ad escogitare tattiche di sopravvivenza come ha fatto finora.

Su questi terreni, inutile nascondercelo,  le multinazionali partono più avanti. Certo ci sono ottime realtà regionali o multi regionali in grado di rispondere colpo su colpo, ossessionate dai costi, soprattutto dal costo del lavoro e in grado di tenere al guinzaglio i loro clienti più affezionati, ma il novecento con i suoi modelli di crescita continua, i suoi scaffali  affollati di merce, i dipendenti che non contano nulla, e i tatticismi dei manager commerciali che si copiano  l’un l’altro,  è finito da tempo.

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