Ho avuto modo di partecipare ad un’iniziativa proposta dal Sindacato di base CUB (nato negli anni 90 da una scissione nella FIM CISL milanese) sul lavoro nei servizi dal titolo: “Flessibilità-alienazione e rapporti con i clienti”. Argomento impegnativo e ambiente, com’era prevedibile estremamente critico sia nei confronti delle aziende del terziario, insegne GDO in testa, ma anche dei sindacati confederali. L’occasione è scaturita dalla presentazione del libro di Giovanna Fullin “I CLIENTI SIAMO NOI. IL LAVORO NELLA SOCIETÀ DEI SERVIZI (Il Mulino, 2023)”.
Le ricerche sul lavoro nel terziario e nei servizi, che ormai riguardano oltre il 70% dell’occupazione totale, si concentrano in genere sui knowledge workers o sui lavoratori delle piattaforme. Difficile trovare sociologi del lavoro che hanno focalizzato il loro lavoro sui servizi al consumo pur trattandosi di oltre 5 milioni e mezzo di persone. Quasi il 30% dell’occupazione complessiva. Ci aveva provato negli anni 90 un altro sociologo, Renato Curcio, noto più per altre vicende, che aveva individuato, studiando i lavoratori dei centri commerciali e degli ipermercati, l’emergere di una nuova “classe operaia” in grado di sostituirsi al cosiddetto “operaio massa” fondamentale per la ripartenza di un movimento simile a quello del ‘68. Anche allora le interviste a supporto le avevano fornite i lavoratori della GDO, i delegati sindacali delle aziende e i sindacalisti (soprattutto della Uiltucs milanese).
Al di là delle teorizzazioni di allora che poi si sono dimostrate completamente errate per la prima volta in quelle riflessioni sindacali entrava il “cliente”. Pur raccontato da Curcio come isterico e alleato del datore di lavoro nel “vessare” i lavoratori, ma terzo soggetto di un triangolo che, in qualche modo, introduceva un elemento di diversità rispetto alle riflessioni sul lavoro derivate dalla cultura industriale e tayloristica che riduceva il rapporto di lavoro alle dinamiche esclusive tra imprenditore e lavoratore.
Questa presenza viene ripresa anche dalla sociologa Fullin che costruisce un nesso interessante tra mestieri diversi (dal lavoro nel turismo, alla ristorazione, dalle hostess fino alla grande distribuzione) dove il rapporto con il cliente è centrale e ne approfondisce alcuni aspetti nel libro. Innanzitutto il delicato confine tra organizzazione aziendale e cliente. L’organizzazione tende, per sua natura, a standardizzare i comportamenti richiesti ma deve contemporaneamente saper costruire un rapporto personalizzato perché il cliente porta con sé una forte dose di imprevedibilità nei suoi comportamenti. Tra l’altro, nel negozio del futuro, questa capacità di relazione e di assistenza sarà ancora più centrale.
In secondo luogo il lavoro cosiddetto “emozionale” perché nelle attività di contatto, i lavoratori mettono in gioco, oltre alle loro competenze, le loro capacità relazionali e quindi le loro emozioni, a fini lavorativi, molto più di quanto avviene in altri comparti produttivi. Interessante è l’analisi dell’effetto di compensazione che, sottolinea l’autrice, si crea tra condizioni di impiego spesso insufficienti e la percezione della gratificazione nella relazione con il cliente, la focalizzazione sul proprio valore aggiunto nel servizio invece che sull’organizzazione aziendale del lavoro, l’autonomia che ne deriva e la conseguente riduzione della monotonia. La relazione con i clienti permette in sostanza di prendere le distanze dal processo lavorativo che è spesso spersonalizzante per sentirsi finalmente riconosciuti come persone. Ovviamente con il carico inevitabile di aspetti anche negativi di questa relazione se e quando il servizio, pur offerto al massimo delle proprie capacità, viene frustrato per atteggiamenti maleducati o intolleranti da parte dei clienti o della struttura gerarchica.
Questi e altri temi, trattati in modo esaustivo, segnalano che, lavorare per le persone, con le persone e attraverso le persone è l’elemento distintivo dei servizi al consumo. Le dinamiche che si mettono in moto non sono completamente controllabili né prevedibili. Creano spazi di relazione ma anche conflitti che rendono questo lavoro particolarmente impegnativo e faticoso. Questo dovrebbe far nascere nelle aziende una maggiore consapevolezza della complessità e della essenzialità del ruolo degli addetti che interagiscono con i clienti ma anche della loro vulnerabilità. Soprattutto in tempi futuri, facili da prevedere, di scarsità nel reperimento delle risorse.
Ho trovato interessante che di questo tema se ne occupasse un sindacato di base come la CUB certamente di cultura industriale che rivendica un’intransigenza e un antagonismo che non sembrerebbe lasciare molto spazio ad alcuni argomenti proposti nel libro. In realtà il loro segretario, Mattia Scolari (Flaica CUB), mi è parso tutt’altro che desideroso di professare un estremismo inconcludente. La posizione che esprime, ovviamente distante dal mio punto di vista, parte dalla convinzione che questi temi dovrebbero ritornare centrali in un contesto di contrattazione ma che, il meccanismo costruito attraverso i diversi contratti nazionali e le normative che regolano i rapporti di lavoro siano funzionali a neutralizzare conflitti e rivendicazioni. E, sempre dal suo punto di vista, indica due priorità che caratterizzano la direzione di marcia di quel sindacato. Una legge sulla rappresentanza che consenta ai lavoratori di scegliere da chi farsi rappresentare e la rimessa in discussione degli assi portanti della contrattazione nazionale. “Vaste programme” avrebbe detto De Gaulle.
Per assurdo, e pur da prospettive opposte e confliggenti, è speculare alle posizioni di Federdistribuzione. Mentre Confcommercio fa dell’asse con i sindacati confederali e del mantenimento dello statu quo sul CCNL (e soprattutto sulla bilateralità che ne discende) il vero punto di forza da mantenere come architrave del sistema contrattuale, Federdistribuzione punta a ridiscuterne i contenuti per renderne il profilo in linea con il modello più flessibile e polivalente dell’organizzazione della GDO di oggi. Ed è meno accomodante di Confcommercio nei giudizi sulla degenerazione dei sistemi bilaterali. Scolari sostiene che l’attuale sistema è una cappa che impedisce il rilancio della centralità del lavoro e del reddito costretti nel solco della moderazione degli accordi dal 1993 in avanti. Una “cappa” che vista dal versante dell’impresa e del sindacato confederale ha garantito finora il governo del comparto e dell’intero terziario. La vera domanda è se il sistema costruito intorno ai CCNL è ancora difendibile così come è stato costruito o è destinato inevitabilmente ad un suo declino. I ritardi nei rinnovi con la mancata reazione delle imprese (ma anche) dei lavoratori lo testimonierebbero. Così come la difficoltà a trovare soluzioni condivise sul piano dell’organizzazione del lavoro e dell’inquadramento.
La strada auspicabile è quella proposta dalla CUB? Io credo di no. Ma è evidente che l’equilibrio da individuare tra lavoro e impresa sia tutto da costruire guardando in avanti e non indietro. Non basta trascinarsi stancamente un modello novecentesco costruito intorno ad una cultura tayloristica che mostra tutti gli anni che ha. E soprattutto, occorrerebbe porsi due domande centrali. Quale sarà il profilo del lavoratore dei servizi al consumo, nei prossimi anni? E quale sarà l’attrattività delle imprese del terziario e del comparto rispetto ad altri settori? La CUB (forzando la mano) ipotizza un futuro cupo inevitabilmente schiacciato verso il basso, con meno diritti e con il reddito scandito dal part time involontario, dagli appalti privi di tutela e dalla precarietà del lavoro. Nel mondo però esistono modelli diversi. E anche da noi le insegne non sono tutte uguali. Personalmente credo che se la vera discriminante sulla quale si giocherà la competitività in futuro sarà veramente il “cliente” e il “servizio”. Il lavoratore, che rappresenta per l’azienda il cosiddetto “cliente interno”, dovrà ritornare inevitabilmente centrale.