Mentre da noi la discussione prevalente ruota intorno alla futura quota destinata ad essere occupata dai discount, della lenta avanza dell’online, dalla crescita degli specializzati e dalla capacità di risposta della grande distribuzione tradizionale, altrove si stanno ponendo problemi più sistemici. Il punto è capire dove stiamo andando. Certo l’Italia ha le sue specificità soprattutto se parliamo di consumi alimentari però ci sono segnali inequivocabili che il futuro del commercio in generale e della grande distribuzione in particolare saranno caratterizzati in buona parte dal low cost inteso a 360° (lavoro, gestione punto vendita, back office, prezzi, ecc.).
Invecchiamento e difficoltà della popolazione locale, immigrazioni da Paesi poveri, concorrenza delle piattaforme cinesi spingono i grandi player internazionali a serrare le fila e a ripensare al loro futuro. Questo non significa che non esisterà spazio per nicchie di popolazione, più o meno grandi, dove resterà una capacità di spesa importante ma è bastato il campanello dell’inflazione e delle tensioni geopolitiche per far comprendere che la “ricreazione è finita” e che nulla tornerà come prima. Ma è chiaro che, soprattutto il commercio tradizionale generalista, dovrà farci i conti.
Gli USA, sotto questi aspetti, sono ritornati ad essere una delle grandi aree di sperimentazione. Vuoi perché lì i modelli di consumismo sono arrivati all’estremo possibile, vuoi perché resta un Paese di grandi differenze territoriali e culturali, quindi di contraddizioni sociali evidenti. Senza sottovalutare che, anche nell’altro grande contendente, la Cina, destinato sempre più ad essere il principale competitor mondiale, nascono idee, sperimentazioni, innovazioni tecnologiche applicate al commercio, alle piattaforme (TikTok, Temu, Alibaba per citare le più note) e strategie di esportazione che contribuiscono a cambiare gli scenari nel lungo periodo.
I 30 maggiori produttori cinesi di videogiochi rappresentano il 18% delle vendite globali del settore al di fuori della Cina. Le app di e-commerce collegate alla Cina hanno avuto un successo simile. Si ritiene che Shein, che vende vestiti economici, principalmente agli americani, abbia venduto capi di abbigliamento per un valore di decine di miliardi di dollari l’anno scorso. Temu, che ha sede a Boston ma è di proprietà del gigante cinese Pdd Holding (che controlla anche Pinduoduo, piattaforma cinese per la vendita online di prodotti a basso prezzo, che ha raggiunto un utile netto circa 4 miliardi di euro e il fatturato è salito a quasi 12 miliardi di euro).
La risposta di Amazon, non si è fatta attendere. È così, dopo “Amazon Saver” sui prodotti alimentari essenziali a basso costo, è arrivato “Haul”. Per ora in beta test negli USA. Per i boomer come il sottoscritto, “Haul” nel gergo social significa, più o meno, fare bottino (a prezzi stracciati) di vestiti o altro in rete. Il gigante di Seattle gli ha dedicato una sezione di shopping della sua app e del suo sito con una selezione di proposte al prezzo inferiore a 20 dollari, “con la maggior parte inferiore a 10 dollari” e alcuni a partire addirittura da 1 dollaro. Gli sconti maturano man mano che gli ordini crescono. Mentre l’assortimento di questi articoli a basso prezzo abbraccia categorie, tra cui moda, casa, stile di vita, elettronica e altro, per questi ordini Amazon si è dovuta allontanare per forza dal suo modello di consegna rapida, indicando, per “prodotti con prezzi ultra bassi” da una a due settimane.
L’esperimento è ovviamente una risposta a Temu e ad altri mercati cinesi in rapida crescita. Amazon più che la concorrenza nei negozi fisici deve stare attenta ai nuovi arrivi in rete e quindi decide di correre il rischio di vedersi cannibalizzare le altre sue vendite, ritenendolo comunque preferibile alla perdita di quote per l’incalzare di questi concorrenti. Ricerche recenti mostrano che i consumatori statunitensi confermano di fidarsi di più di Amazon rispetto a Temu, ma che stanno comunque facendo sempre più acquisti su Temu. Circa il 17,5% degli intervistati globali a un sondaggio della società di software di marketing Omnisend ha dichiarato di pensare che il sito cinese potrebbe addirittura superare Amazon come piattaforma di e-commerce leader.
Un altro caso interessante sull’affermazione del low cost è l’evoluzione di Aldi negli USA. The Economist, non molto tempo fa, ha lanciato la riflessione con un articolo dal titolo provocatorio: “Aldi potrebbe conquistare l’America?”. Sostanzialmente battuti in Europa da LIDL negli USA stanno andando forte. Secondo Jones Lang La Salle Incorporated (JLL) una società di consulenza immobiliare, Aldi Süd ha aperto circa 100 negozi all’anno in America, più velocemente di qualsiasi altro rivenditore, inclusi Lidl e Aldi Nord (che possiede i supermercati Trader Joe’s). L’anno scorso Aldi Süd ha annunciato l’acquisizione di circa 400 supermercati Winn-Dixie e Harveys in Alabama, Florida, Georgia, Louisiana e Mississippi. Molti di questi saranno ristrutturati come supermercati Aldi.
E, all’inizio di questo mese, Jason Hart che dirige l’attività americana di Aldi Süd, ha promesso di accelerare il passo. Ha affermato che la società investirà 9 miliardi di dollari in cinque anni per aprire 800 nuovi Aldi (incluse le conversioni Winn-Dixie e Harvey), oltre ai 2.400 che ha già. Non va dimenticato che negli USA sebbene i prezzi alimentari non stiano più salendo alle stelle, oggi sono più alti del 23% rispetto a quattro anni fa. Altri discount, tra cui Lidl, non sono cresciuti neanche lontanamente alla stessa velocità di Aldi Süd. Hart ce l’ha fatta concentrandosi su prodotti essenziali per il pubblico di riferimento.
Offre molte meno scelta rispetto ai punti vendita rivali: 1.600 prodotti, in media, rispetto ai 31.000 di un tipico supermercato americano e ai 4.000 del già scarso Trader Joe’s. Ciò gli consente di mantenere i negozi piccoli, riducendo i costi di acquisto, di gestione e delle utenze. Circa il 90% dei suoi prodotti è a marchio proprio non ha banchi per carne fresca, formaggi o prodotti da forno ed espone i prodotti nelle scatole di cartone utilizzate per la consegna, il che gli consente di impiegare meno persone per servire i clienti e rifornire gli scaffali. Paga ai suoi dirigenti buoni stipendi ma senza esagerare con i bonus. Se Hart continua così in cinque anni Aldi Süd avrà più negozi in America di qualsiasi altro rivenditore, fatta eccezione per Walmart (che oggi ne vanta 4.700).
È chiaro che l’Europa segue un percorso parallelo. Chiusa la fase dello sviluppo alla portata di tutti, oggi per crescere occorrono concentrazioni, risorse umane ed economiche importanti. La transizione che stiamo vivendo assomiglia, a mio parere, a quella vissuta a cavallo della fine del novecento che ha trasformato il volto della distribuzione. L’esito oggi come allora appare scontato. Vincerà chi si saprà adattare.