una concreta riforma della contrattazione non può prescindere innanzitutto dalla costruzione di regole e di riconoscimenti reciproci tra le parti chiamate ad esercitare questa funzione. Definire chi è legittimato a trattare, su quali materie, a quale livello, in che quantità e con quali scadenze non è affatto secondario. Come non è affatto secondario stabilire se la contrattazione aziendale, alternativa o integrativa del CCNL, sia libera o obbligatoria e cosa succede se non arriva ad alcuna conclusione in tempi ragionevoli. In altri termini, mentre il semplice rispetto del CCNL mette, di fatto, tutte le aziende sullo stesso piano, come sarà possibile escludere situazioni di dumping contrattuale, seppur mascherato dalla volontà di un confronto strumentalmente trascinato all’infinito? (vedi ad esempio il caso della GDO dove Federdistribuzione ha aperto un tavolo di confronto impossibile da chiudere per le distanze sul merito del negoziato). Se la contrattazione non dovrà essere più sostenuta dalla messa in campo dei rapporti di forza e non dovrà assumere le caratteristiche di una semplice “tassa” (obbligatoria) sul lavoro ha bisogno di nuove regole e di nuovi approcci anche da parte del Sindacato che dovrebbe accentuare la sua natura costruttiva e collaborativa puntando anche ad una diversa professionalità dei suoi negoziatori. Non meno dalle imprese che dovrebbero riconoscere al sindacato, cosa tutt’altro che scontata, un ruolo propositivo e, di fatto, “intrusivo” nella destinazione degli eventuali incrementi dì produttività definita e prodotta dalla contrattazione stessa. E questo non in pochissime realtà aziendali come è oggi ma in tutte quelle imprese che vorranno cimentarsi nella contrattazione aziendale. Detto questo ha sicuramente ragione il prof. Ichino quando sostiene che è il governo della massa salariale, oggi sbilanciata sul CCNL, il punto centrale del problema, secondo il prof. Ichino, è che non può esserci alcun decentramento se non si affronta questo punto prevedendo deroghe, oggi non previste, che consentano alle imprese di destinare somme importanti al negoziato aziendale. Il problema c’è ma, personalmente, non credo sia risolvibile in questo modo. Non lo è per il Sindacato e non lo è per la stragrande maggioranza delle imprese piccole e medie. Un diverso approccio potrebbe essere dato da una riforma complessiva del salario contrattata e condivisa a livello centrale. Un nuovo modello salariale che preveda una parte minima in linea, ad esempio, con la CIG, una parte legata alla professionalità espressa e, infine, una parte legata all’andamento aziendale. La prima stabilita a livello nazionale, la seconda nella quale potrebbe essere concordato un range minimo e massimo a livello nazionale con applicazione a livello aziendale e la terza esclusivamente a livello aziendale. Ovviamente il CCNL potrebbe stabilire i minimi complessivi di riferimento delle singole voci per evitare situazioni distorsive e governare il welfare contrattuale. Questa impostazione, supportata da interventi legislativi e di modifica del codice civile, potrebbe consentire una gestione dei costi migliore per le aziende e spingere per la costruzione di un modello di formazione permanente a supporto della crescita e dell’impiegabilità dei lavoratori. Inoltre il coinvolgimento sull’andamento aziendale spingerebbe sicuramente ad una maggiore collaborazione e a un ruolo marcatamente propositivo le stesse organizzazioni sindacali. Per le aziende i vantaggi sarebbero dati dalla reversibilità legata ad elementi oggettivi di una parte della retribuzione individuale, di una maggiore spinta alla produttività individuale e di gruppo e a potenziali e interessanti sgravi fiscali. Per il sindacato e per i lavoratori i risultati sarebbero altrettanto evidenti. Un rapporto più consapevole maturo con la propria impresa, più formazione e crescita professionale, minori problemi per gli over 50 che, pur guadagnando di meno se non dovessero ricoprire ruoli professionali adeguati, non si troverebbero in situazioni di grave difficoltà personali sul mercato. È in un mix di questo tipo tra contratto nazionale e aziendale, tra esigenze dell’azienda e tutela del lavoratore che può essere trovata la soluzione migliore. Il punto ineludibile è che è comunque necessario che cambi il sistema attuale altrimenti vedo inevitabile che la crisi del modello attuale porti ad una giungla dove l’individuo è sempre più solo e nella quale sarebbe molto più difficile muoversi visti i ritmi e i problemi posti dalla globalizzazione e dalla competitività per le imprese.