È di qualche giorno fa il comunicato interno di Esselunga che chiude il rapporto con la Direttrice Risorse Umane, in azienda da circa sei mesi. È la seconda in poco tempo. Quello precedente era durato poco di più. La posizione è, di fatto, coperta ad interim dall’AD. La domanda (retorica) quindi nasce spontanea. È una figura inutile quella del DHR nella GDO, lì come altrove, o come si dice in questi casi, a Huston (Pioltello) continua ad esserci un problema? Esselunga è una delle più performanti realtà della GDO nazionale. E lo è, visti i premi e i riconoscimenti che continua a raccogliere praticamente ovunque e nonostante il turn over di sede, gli avvicendamenti nell’organigramma, le difficoltà logistiche con i conseguenti problemi esplosi nel 2024 con i sindacati di base in Toscana, a Biandrate e a Pioltello. È un caso a sé? È l’eccezione che conferma la regola o segnala un problema più generale destinato ad emergere sempre più nella Grande Distribuzione?
Esselunga nel mio “Top Five Billion Club” (le cinque realtà più importanti della GDO) insieme a LIDL è quella con il perimetro aziendale più definito. Pur disturbata da qualche concorrente locale e da quelli che qualcuno si ostina a chiamare discount resta la lepre da inseguire. Inutile girarci intorno è ancora la prima della classe. Non è così nelle Risorse umane. Perso Luca Lattuada, ottimo professionista, memoria storica e punto di riferimento per l’intera categoria, a quel livello nella GDO ne restano quattro: Paola Accornero in Carrefour, Sebastiano Sacillotto in Lidl, Angelo Pigatto in Despar e Piero Pisoni in Penny. Nessuno, credo, disponibile a muoversi. Ovviamente ce ne sono anche altri in crescita di ruolo ma preferisco sottolineare quelli che rappresentano la solidità di un DHR che ha voce in capitolo nei rispettivi comitati di direzione. O comunque molto ascoltati dai CEO. Non solo bravi professionisti. Stiamo parlando di Esselunga. L’autorevolezza è il primo problema.
C’è un vecchio libro francese per chi vuole andare controcorrente con un titolo che non lascia dubbi: “Tous DRH”. La prima edizione è del 2001. Scritto da Jean-Marie Peretti, professore di Gestione delle Risorse Umane all’ESSEC e all’Università della Corsica. È una sorta di manuale rivolto a manager e dirigenti di linea. Lo scopo è fornire conoscenze teoriche e pratiche e competenze che consentano, a chi gestisce persone nelle organizzazioni e indipendentemente dal loro ruolo aziendale di assumere le sembianze di un provetto “direttore delle risorse umane” dei propri dipendenti (senza esserlo). In fondo cosa ci vuole? (devono averlo pensato anche in Esselunga …).
Per gestire i propri collaboratori in diverse realtà della GDO c’è ancora chi utilizza due strumenti semplici: “bastone e carota” noti oltre che come metafora popolare, per essere stata usati in un suo discorso del 1943 da W. Churchill (We shall continue to operate on the Italian donkey at both ends, with a carrot and with a stick). Ovviamente se trasportati in azienda e trasformati in atteggiamenti manageriale prevalenti i due strumenti creano un ambiente di lavoro teso e negativo dove le persone hanno sempre paura di sbagliare, diventando nel tempo poco reattive e per nulla stimolate a proporre il loro punto di vista. A metterci quel qualcosa in più che contrasta quel “quite quitting” oggi così di moda.
In situazioni di questo tipo il clima aziendale ne risente pesantemente perché la competizione per provare ad assicurarsi la “carota” rischia di essere una gara contro i colleghi piuttosto che sulla qualità delle proposte. E questo danneggia la logica di team e introduce elementi di tossicità nelle organizzazioni. Soprattutto se si ha a che fare con persone giovani e inesperte. Un leader, al contrario, dovrebbe infondere fiducia e stima. Non paura di ritorsioni o punizioni. Forse certi atteggiamenti in Esselunga potevano valere ai tempi di Caprotti senior ma difficilmente funzionano oggi con una leadership magari altrettanto forte sul piano caratteriale ma meno autorevole soprattutto in un mercato del lavoro che offre vie di fuga, in parte causa del cosiddetto “employee attrition” (l’abbandono alla ricerca di nuove sfide professionali).
Le persone rappresentano il motore del retail moderno. I valori declamati, più che presentati nei convegni o alla ricerca di riconoscimenti esterni occorrerebbe mostrarli nella pratica quotidiana. Purtroppo nella GDO è un fenomeno diffuso nelle realtà che vantano risultati positivi, soprattutto medie o piccole. Si parla spesso di clienti, di performance al metro quadrato, di risultati di business. Poco di di contribuisce a realizzarlo. Ancora meno dei metodi utilizzati. Ma non sono questi i tempi per giustificare certi comportamenti. Questi sono tempi positivi per chi può contare su fondamenta professionali solide. La conoscenza delle persone, la loro valorizzazione e i meccanismi relazionali che le mettono in gioco restano la prerogativa principale di una Direzione Risorse Umane efficace. E questo ben al di là di tutte quelle attività di contorno che vorrebbero proiettare un’immagine di azienda moderna, impegnata nel sociale, attenta alle proprie risorse umane, disponibile a forme di welfare interno addirittura di maggiore spessore rispetto ai concorrenti.
Se non si crea questo clima positivo le persone di fatto non crescono. Accumulano banale anzianità aziendale non esperienze professionali spendibili sul mercato. Oggi qualsiasi azienda non è più in grado di garantire nulla “dalla culla alla tomba”. Può però proporre uno “scambio adulto” nel quale la risorsa acquisisce competenze e cresce mentre in cambio, sul piatto, ci mette lavoro, passione e impegno. Se non c’è questo il rapporto è destinato a esaurirsi rapidamente. Certo, queste carenze, in parte, può farsene carico il management di linea.
In fondo come dice il libro non sembrerebbe difficile essere “Tous DRH”. Ma i manager di linea, soprattutto se di profilo commerciale, hanno spesso due difetti difficili da gestire. Innanzitutto tendono a crearsi intorno “cerchi magici” che mirano all’autoconservazione attraverso la regola del “protect your ass”. Per accorgersene basta girare in sede o nei punti vendita, osservare e ascoltare. In alcune aziende questo distacco lo si percepisce da una serie di elementi oggettivi. Innanzitutto il turn over. Sia quello complessivo che, nel dettaglio delle ragioni che lo provocano. In secondo luogo i commerciali sono troppo piegati al “qui e ora”. Quindi l’atteggiamento è essenzialmente tattico e finalizzato ad obiettivi a breve.
Che fare quindi?
Occorre ripartire dai fondamentali della funzione. È evidente che i tempi stanno cambiando. Attrarre, gestire, ingaggiare risorse sarà sempre più complesso. Così come affrontare le problematiche sociali in tempi di pluralismo sindacale accentuato. Rifiutare l’esperienza costruita in azienda negli anni per circondarsi da yes men fidati non porta da nessuna parte. Ascoltare, condividere, celebrare i successi collettivi e gestire gli insuccessi o gli errori di gestione quasi sempre causati da chi sta sopra diventa prioritario.
Il resto viene dopo.