Dopo un anno di moratoria seguito da lunghi quanto infruttuosi negoziati il rinnovo del contratto nazionale dei dirigenti del terziario rischia di non trovare una sua conclusione. Le ragioni alla base dell’impasse sono essenzialmente da ricercare nella difficoltà di trovare una sintesi tra le necessità, espresse da Confcommercio, tese a modificare alcune datate normative contrattuali e la posizione ribadita da Manageritalia di mantenerle comunque in vigore accettando, al massimo, modifiche non sostanziali e comunque non ritenute sufficienti dalla controparte.
Ovviamente sono posizioni di parte assolutamente legittime.
Personalmente cerco di andare oltre perché credo che un rinnovo di un contratto nazionale oggi deve saper trovare un vero e proprio riequilibrio rispetto ad un passato più o meno recente dove, era dato per scontato, che l’asimmetria fosse esclusivamente a favore del lavoratore. Era cioé ovvio ritenere che il rinnovo di un contratto prevedesse solo miglioramenti a favore di una parte. Oggi non è più così.
E se questo equilibrio non lo si riesce a trovare un contratto non si chiude. Certo è che Confindustria e ABI lo hanno siglato da poco senza costi aggiuntivi e prevedendo revisioni importanti su alcune vecchie tutele. Quindi in quei contesti un ragionevole riequilibrio è stato possibile trovarlo.
Personalmente ritengo che sarebbe saggio chiudere anche il contratto del terziario. E questo per una serie di ragioni.
Credo sia ormai sia chiaro a tutti che stiamo entrando in una fase di ripensamento sulla contrattazione in generale e sull’adeguatezza o meno degli attuali modelli o livelli a disposizione.
Il contratto dei dirigenti del terziario è un piccolo contratto rispetto ad altri ma da esso dipende un importante welfare che non sarebbe certamente gestibile se smontato o decentrato a livello regionale o aziendale.
Così come credo sia improponibile pensare di separare la gestione del welfare, che resterebbe come è oggi, lasciando alla singola azienda il compito di determinare la normativa individuale più adatta per i propri dirigenti. Ed è inutile negare che alcune aziende pensano sia giusto spingere in questa direzione.
In un contesto del genere lasciare aperto all’infinito il confronto può rivelarsi un grave errore di valutazione.
Ovviamente è una mia personalissima opinione.
La figura del dirigente sta cambiando molto sia in ruolo che in status. Nessuno credo, possa ipotizzare più che tra la nomina e la pensione tutto è destinato a procedere come in passato. Il percorso manageriale è sempre più caratterizzato da una forte instabilità. Si alternano ormai fasi a tempo indeterminato con altre a tempo determinato, consulenze e fasi di riorientamento della propria carriera che rendono necessari strumenti e normative diverse e più adatte ai tempi. Capacità e competenze vengono costantemente messe alla prova e quindi la formazione continua deve diventare parte fondamentale del patto tra dirigente e impresa. E deve crescere nel dirigente la consapevolezza che la qualità del proprio percorso dipende essenzialmente dalle proprie scelte o non scelte in termini di sviluppo professionale, formazione e impiegabilità. Tutto questo rende inevitabile percorsi personalizzati, momenti di verifica, capacità di acquisire anche quelle competenze soft che unite alle ovvie competenze tecnico professionale potranno fare la differenza sul mercato del lavoro. A questo vanno aggiunte le altrettanto importanti modifiche che i differenti percorsi professionali determineranno alla propria previdenza integrativa e all’assistenza sanitaria in tempi dove dovremo inevitabilmente misurarci con profondi cambiamenti del sistema a cui eravamo abituati. Tutto ciò determinerà, a sua volta, priorità e conseguenze i cui costi non possono essere semplicemente messi a carico delle imprese come in passato. Quella fase è finita per sempre.
Non è certamente facile portare a termine un negoziato dove far coesistere vecchio e nuovo, esigenze di tutela e esigenze di cambiamento, aspettative dei singoli e obiettivi delle imprese. Non è facile, però è indispensabile. I gruppi dirigenti si misurano sulla loro capacità di capire come anticipare e gestire i cambiamenti in atto. C’è stato un momento, alcuni mesi fa, dove sembrava possibile chiudere ma è stato purtroppo sprecato. Quindi occorre ricominciare da capo. Con pazienza e con determinazione.Se qualcuno pensa che sia sufficiente rilanciare la propria posizione convincendosi così di fare passi avanti si sbaglia così allo stesso modo chi pensa che occorra cercare un semplice punto di equilibrio e non cerca di comprendere la necessità ormai indilazionabile di un riequilibrio complessivo dimostra di non capire la posta in gioco. Quello che è avvenuto fino ad ora dimostra che non ci sarà alcun contratto per forza. Ci sarà solo se il punto di incontro sarà accettabile da entrambe le parti.
Sempre manifestando una mia personalissima opinione io credo che chi non lavora con questo spirito e con la volontà di arrivare a questa determinazione rischia solo di continuare a perdere tempo.