La scelta di presentare una proposta sindacale alla vigilia del “semestre bianco” di Confindustria e con la trattativa dei metalmeccanici che si stava aprendo su basi ben diverse, lasciava intendere che il significato politico e il valore dell’iniziativa unitaria fossero ritenuti, dagli stessi proponenti, più importante dei contenuti della proposta stessa. Il “no” di Confindustria ad accettare quei contenuti come base di discussione era tutto sommato scontato. Così come è prevedibile che a breve seguirà il “no” di Confcommercio che, da poco, ha rinnovato il più importante contratto nazionale del Paese nel quale sono state individuate soluzioni utili alle imprese e ai lavoratori con gli stessi sindacati che oggi sostengono una piattaforma la cui impostazione, di fatto, rischia di essere percepita, da parte datoriale, come un ritorno al passato. Dall’altro lato della “barricata” l’endorsement alla piattaforma della FIOM CGIL e le perplessità di Bentivogli della FIM CISL danno il segno di quanto è complesso il contesto è di come sarà difficile muoversi. Degli “attori” principali in campo mi sembra che solo Gigi Petteni, segretario confederale della Cisl, ha cercato di gettare il cuore oltre l’ostacolo individuando il confronto come un luogo dove innanzitutto condividere un “senso di marcia”, una strategia di riferimento prima di affrontare i contenuti. È chiaro a tutti che il contesto porta inevitabilmente a riflettere sui modelli di collaborazione e di condivisione tra capitale e lavoro e quindi tra manager, imprese e lavoratori. Il punto è se farlo “tra” parti sociali attraverso un nuovo modello di relazioni industriali condiviso o “nonostante” la presenza delle parti sociali. In altri termini la domanda di fondo è se prevarrà un sistema dove i corpi intermedi si impegnano a giocare un nuovo ruolo o, di fatto, accettino di essere condannati alla irrilevanza scavalcati da forme di “collaborazione costruttiva” definite direttamente nelle aziende. Io resto convinto che, fatto salvo il diritto delle imprese e delle loro rappresentanze di tenere la “barra dritta” sui contenuti, puntare alla marginalizzazione del sindacato in sé, sia un errore. Un errore destinato a coinvolgere, nel tempo, anche le stesse organizzazioni datoriali. In gioco, credo ci sia, un modello di società intesa come una comunità in cammino dove dovrebbero esistere pesi e contrappesi, interessi deboli e forti che si ricompongano nel confronto e le contraddizioni del contesto nazionale e internazionale vengano ammortizzate da una rinnovata coesione sociale e politica. Spingere i sindacati confederali su una posizione esclusivamente difensiva e inconcludente è relativamente facile. Sfidarli su un altro terreno lo sarebbe molto meno. Il mancato rinnovo di molti contratti è lì a dimostrare l’assoluta debolezza dei sindacati nel rapporto con i lavoratori e l’incapacità delle loro rispettive controparti di trovare soluzioni condivise. Non credo però sia una buona strategia attendere soluzioni da terzi o proposte che non arriveranno certo da sole….