Maurizio Bernava, segretario confederale della Cisl, in un recente confronto sulla vicenda della Reggia di Caserta proponeva di affrontare i problemi della PA attraverso una maggiore partecipazione dei lavoratori, una valutazione del merito, della professionalità in un contesto di innovazione. Una ricetta per certi versi interessante ma, come cercherò di spiegare, di difficile realizzazione nel contesto attuale. “È possibile insegnare a un tacchino a salire in cima a un albero, però per quel lavoro sarebbe meglio assumere uno scoiattolo” ci ricorda spesso Giampaolo Montali. In ogni azienda, privata o pubblica, un manager deve sapersi misurare con le risorse umane che gli vengono affidate, anche perché i tacchini sono statisticamente più numerosi degli scoiattoli. Per non restare a Caserta, se prendiamo come esempio la nascente ANPAL (Agenzia per le politiche attive del lavoro) secondo il Senatore Ichino, oltre a evidenti problemi di costruzione e di finalizzazione delle sue attribuzioni e attività rischia di ritrovarsi con molti tacchini e pochi scoiattoli. Se così fosse, è evidente che non sarebbe certo un buon inizio. Secondo la sua valutazione mancherebbero le competenze necessarie a ricoprire quei ruoli nei potenziali candidati. Però il segreto del successo di ogni azienda sta proprio nel saper costruire una squadra in cui i “tacchini” possano essere motivati, allenati, sostenuti, per andare oltre i propri limiti e raggiungere risultati che nemmeno loro, in partenza, pensavano di essere in grado di ottenere. La riorganizzazione della PA è un passaggio obbligato sulla strada del cambiamento del Paese. Pensare di effettuarla senza considerare la quantità e la qualità delle risorse umane disponibili, la riqualificazione necessaria a ricoprire i nuovi incarichi e, infine, la disponibilità dei singoli a rimettersi in gioco a prescindere dall’età e dai problemi personali determinerà o meno il successo dell’operazione. Nei processi di riorganizzazione aziendale del settore privato è sempre stato evidente che non basta spostare le persone e adibirle, forzatamente o meno, a nuove attività. Occorre prepararle professionalmente ma anche lavorare sull’engagement e sulla motivazione. La maggior parte dei processi di merger and acquisition nel mondo hanno comportato enormi sprechi di risorse economiche proprio perché si sono sottovalutate le conseguenze della non gestione delle risorse umane. Nella PA italiana questo elemento si presenta ancora più complesso. E questo per una serie di motivi. Innanzitutto perché non c’è una pratica consolidata di gestione delle risorse umane né in termini di sviluppo individuale e di mobilità professionale tra settori né di valorizzazione dell’impegno e della professionalità. In secondo luogo perché le gerarchie presenti, indipendentemente dalla buona volontà dei singoli, non sembrano essere dotate di metodologie particolarmente innovative e coinvolgenti. Non esistono forme di leadership riconosciute ed esercitabili concretamente in grado di condividere, supportare e coadiuvare scelte e decisioni politiche e organizzative. L’adesione volontaria alla mobilità ritenuta dal sen. Ichino un elemento quasi censurabile, perché mette al centro il dipendente rispetto alle esigenze del cittadino, se in astratto è condivisibile, in concreto rischia di rappresentare uno dei pochi elementi da valutare positivamente. Lavorare sulla motivazione di una persona che ha scelto volontariamente un percorso è indubbiamente più produttivo che coinvolgere chi accetta o subisce una soluzione più o meno “spintaneamente”. Però il difetto principale della soluzione proposta della CISL di decentramento tout court della contrattazione nella PA è che, temo, non sia immediatamente praticabile nel contesto attuale. Come tutti i progetti di riorganizzazione l’operazione di riassegnazione delle risorse umane deve necessariamente comportare formazione e coinvolgimento del personale ma anche evidenti risparmi, efficienza ed efficacia delle nuove strutture create. Oggi nella PA c’è ancora una cultura nella dirigenza e del ruolo dei sindacati locali poco propensa alla responsabilità, alla decisione e alla individuazione del nuovo soggetto di riferimento che è il cittadino utente e non solo il dipendente pubblico. Questa cultura spingerebbe inevitabilmente a compromessi organizzativi locali difficilmente accettabili. Termini come efficienza, merito, trasparenza, rapidità si scontrano con abitudini, modalità applicative, presenza di un pluralismo di sigle sindacali, ricorsi e via discorrendo che determina l’assoluta necessità della definizione di regole chiare e condivise, tipiche di una situazione straordinaria, che incidano profondamente su situazioni personali e di gruppo all’interno di un percorso chiaro. I fatti di Caserta sono lì a dimostrarlo. Due sindacalisti locali non soddisfatti del comportamento del direttore decidono di scavalcarlo con una lettera chiedendo un intervento ad una istanza superiore. È un chiaro atto teso a delegittimare l’interlocutore tradizionale imbrigliandone i comportamenti. In quel caso, fortunatamente, non ha funzionato ma l’episodio certifica la difficoltà di decentrare alcunché senza trovarsi a dover fare i conti in un ginepraio di leggi, procedure e compromessi che continuerebbero a mettere al centro “solo” le esigenze del singolo dipendente pubblico e del rispetto di norme consolidate contro l’assoluta necessità di efficienza e di efficacia. Quindi occorre muoversi in altro modo individuando a monte lo spazio negoziale che può essere assegnato al livello locale. Altrimenti non accadrà nulla di buono. Incidere sulle rispettive “aree di confort” non è semplice. Pensare che lo possano fare dei sindacalisti locali della PA abituati spesso a tutt’altri comportamenti è velleitario. Machiavelli ci ricorda che “non si può essere di sollievo al Principe e innocui al popolo”. Una riorganizzazione comporta necessariamente disagi personali, incomprensioni e ingiustizie. Il sindacato deve esercitare il suo ruolo di tutela cercando di attutire al massimo queste conseguenze con proposte e alternative praticabili ma alla politica spetta la responsabilità di decidere e alla dirigenza di realizzare concretamente quelle decisioni. Questo è il punto vero. A Caserta o altrove. Altrimenti non si combinerà nulla di buono per il Paese.