Adesso sono le start up che fanno la differenza. Per molti giovani sono il desiderio nel cassetto. All’impiego sicuro agognato dalle generazioni precedenti si è sostituito il sogno, ritenuto a portata di mano, di diventare imprenditori. Ai miti sportivi tipici dell’adolescenza, si sostituiscono imprenditori giovani e di successo che, nel mondo, ce l’hanno fatta. In un Paese come il nostro che vanta oltre quattro milioni di imprenditori esiste una “predisposizione genetica” al far da sé. È una scelta importante. A mio parere porterà con sé anche un “sottoprodotto” pregiato che oggi non viene valutato a sufficienza perché è la riuscita o il fallimento della micro impresa l’unico elemento sotto i riflettori. C’è chi ce la fa e chi soccombe. Chi ce la fa è “figo” per tutti, chi soccombe, al contrario, è “sfigato”. Nessuno considera l’importanza che ha, per un giovane, il percorso dall’idea alla sua realizzazione di un progetto sulla sua formazione imprenditoriale, ma anche manageriale, futura. Il nostro Paese ha bisogno di nuovi manager con mentalità imprenditoriale. Esaurite le grandi scuole del passato che sfornavano futuri dirigenti ormai in pensione o quasi, oggi si diventa manager costruendosi da soli una carriera senza veri punti di riferimento. Non c’è più tempo per crescere acquisendo i fondamentali nei modi e nei tempi necessari. Le multinazionali hanno il baricentro decisionale altrove, le imprese nazionali che investono sulle risorse umane non sono più numerose come in passato, le business school in crisi di identità e le Corporate University delle grandi aziende sono spesso ripiegate esclusivamente sulle esigenze interne. Pochi manager “veri” con a disposizione le leve decisionali e tanti esecutori seppure di un certo livello. Le aziende, poi, hanno appiattito gli organigrammi ed eliminato tutte le posizioni ritenute, a torto o a ragione, ridondanti. In queste condizioni apprendere i fondamentali del ruolo è decisamente arduo. Per crescere una buona base di studi rappresenta, di fatto, solo una precondizione. Occorre mantenersi aggiornati, girare il mondo, incontrare capi disponibili, partecipare a progetti veri, affinare soft skill e essere coinvolti, incentivati, misurati e valutati con continuità. Avere ambizioni, credere in se stessi, mettere in campo un idea e sostenerla, collaborare con altri per la sua realizzazione, interagire con finanziatori, fornitori e clienti, reggere la tensione e lo stress del quotidiano e riaversi magari dopo un insuccesso parziale o totale sono cose che non si insegnano né si imparano sui libri. Solo attraverso una lunga gavetta e, comunque e sempre, a spese proprie. Quindi partecipare al lancio di una start up è un grande esercizio di management di cui chi vi partecipa potrà trarne un grande beneficio indipendentemente dal successo o meno dell’iniziativa alla quale contribuisce. È indubbio che il manager di domani sarà molto diverso da quello di ieri. Più imprenditore, certamente, anche perché condividerà rischi e opportunità con l’impresa che lo sceglie e nella quale sceglierà di “indossarne la maglia” fino a quando la partnership sarà interessante e conveniente per entrambi. Gestirà progetti, parteciperà a team multiculturali nella propria impresa, se multinazionale, o nella filiera dove la sua impresa si collocherà, gestirà, ingaggerà e formerà a sua volta risorse in modo da realizzare gli obiettivi assegnati. La tecnologia gli consentirà di costruire reti relazionali, farsi conoscere, apprezzare e quindi costruire, passo dopo passo, la propria carriera. Per questo condivido la tesi di chi sostiene che anche le PMI potrebbero e dovrebbero fare di più sia nei rapporti con il mondo della scuola, sia assolvendo un compito di grande responsabilità sociale mettendo a disposizione opportunità di inserimento e di crescita per giovani meritevoli. Molti già lo fanno ma non basta. Ad esempio nell’esperimento che abbiamo fatto come Centro di formazione manageriale chiamato “Managerinmpresa” abbiamo constatato che le piccole imprese dopo una naturale diffidenza iniziale hanno apprezzato la possibilità di ingaggiare un manager esterno di cui pensavano di poterne fare a meno. Certo ci sono problemi di costo, di tipologie contrattuali da reinventare, di adattamento anche da parte di manager che magari non sono abituati a lavorare in una micro impresa dove occorre saper fare di tutto ma l’esperimento ci dice che si può fare. Così come occorre aiutare i piccoli imprenditori a crescere, loro stessi, nelle competenze manageriali anche perché il futuro richiederà sempre di più capacità non sempre facili da acquisire in solitudine. Quindi anche per i giovani aspiranti manager occorrerebbe un grande progetto condiviso per il futuro. Nel terziario di mercato ci sono ottime opportunità di crescita. Forse occorrerebbe affiancare a quello che le grandi imprese già fanno in casa propria, qualcosa che possa sostenere le piccole e medie imprese nel rapporto con la scuola e nella creazione di opportunità di inserimento per giovani che meritano una occasione. Come farlo, con quale risorse e dove è una scelta nella quale le associazioni manageriali e datoriali possono ritrovare un punto di incontro costruttivo e positivo. Di sicuro il Paese ne ha bisogno. Non sprecare entusiasmo, energie e ambizioni di chi crede nel proprio futuro è una sfida che non può lasciare indifferenti né le imprese né i manager. Tantomeno le loro associazioni di categoria…