La formazione come diritto soggettivo…

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Marco Bentivogli della FIM CISL ne rivendica giustamente l’intuizione nella sua categoria: mettere a disposizione di tutti i lavoratori, nessuno escluso, la formazione necessaria per rafforzare le competenze professionali e sviluppare le conoscenze in un sistema d’impresa proiettato verso Industry 4.0. Un elemento importante in un comparto che deve affrancarsi dal fordismo e dove, al di là delle parole, spesso i lavoratori sono stati considerati solo numeri. Federmeccanica, dall’altro versante non si è tirata certo indietro. A sua volta ha accettato e rilanciato la sfida. È un passaggio importante soprattutto perché “la persona” è uno degli argomenti centrali del rinnovo del contratto nazionale dei metalmeccanici. E, quel contratto, ha sempre indicato contenuti e direzione di marcia per tutti i settori. Nel terziario, è dal contratto nazionale dei dirigenti del 1993, che Manageritalia insieme a Confcommercio, diedero vita al CFMT, il Centro di Formazione Manager del Terziario. Centro nel quale ciascun dirigente ha diritto a frequentare individualmente i corsi proposti. La quota contrattuale annuale è di 125 euro a carico del dirigente e altrettanto a carico dell’azienda. Non c’è nessun limite alla partecipazione. C’è un diritto soggettivo definito nel contratto nazionale collegato alla responsabilità e ad una gestione individuale. Il dirigente può concordare il percorso con la propria azienda, se d’accordo, oppure utilizzare le proprie ferie. Così come l’azienda che ne può usufruire costruendo direttamente progetti su misura. È ovvio che si tratti di un intervento di nicchia (circa 22.000 dirigenti del terziario) ma non credo esista una esperienza a favore del management di queste dimensioni, a questi costi e di questa qualità, in tutta Europa. Da questa intuizione si è consolidata una realtà bilaterale, costruttiva, utile. Oggi è facile comprenderne l’importanza. Nel 1993 furono necessari visione, intuito e consapevolezza. Soprattutto l’idea che non bisognasse lasciare il manager solo in rapporto con la formazione necessaria alla sua crescita professionale. Oggi questo problema riguarda tutti perché l’aggiornamento e la formazione continua restano fondamentali per muoversi nel mercato del lavoro. Nel 2002 pochi anni prima di lasciarci Bruno Trentin ad una lectio doctoralis in Cà Foscari affermò: “… il rapporto tra lavoro e conoscenza (è uno) straordinario intreccio che può portare il lavoro a divenire sempre più conoscenza e quindi capacità di scelta e, quindi, creatività e libertà”. Interrogarsi su ciò che serve oggi a ciascun lavoratore, indipendentemente dalla sua qualifica, dal giorno dopo il conseguimento del titolo di studio e fino alla pensione diventa, sempre più, un tema centrale. E questo sia sul versante dei contenuti che delle metodologie. Professionalmente si vive più a lungo e si cambia più spesso lavoro per volontà o, sempre più spesso, per necessità. Il paradosso è che, le persone, oggi sono destinate a vivere più a lungo delle imprese. Non era mai successo in passato. Questo significa che investire su se stessi, sulla propria professionalità e sulla capacità di misurarsi con il mercato costruendo relazioni utili e positive non è più un obiettivo solo di chi vuole fare carriera ma diventa un passaggio obbligato per tutti. Frequentare community, avere un personal brand riconosciuto, aggiornarsi e gestire con attenzione il proprio percorso professionale si trasforma in una attività alla quale va dedicato tempo, impegno e concentrazione. Farlo in solitudine non è facile. Soprattutto per chi non lo ha mai fatto. La persona, oggi, si misura con un mercato del lavoro molto più complesso e selettivo rispetto al passato. Un mercato nel quale il percorso o la crescita in una singola azienda è solo una tappa. La carriera ha sempre più discontinuità e segue traiettorie sempre diverse. Competenze professionali e soft skill si devono aggiornare continuamente determinando nuove priorità. L’impresa ha un obiettivo formativo che condivide con il collaboratore ma, quest’ultimo deve investire anche sul suo futuro professionale sapendo andare anche oltre le esigenze dell’impresa nella quale è occupato. È questo non può più essere sottovalutato dai contratti collettivi e quindi nel nuovo scambio tra impresa e singolo lavoratore. Difendere e incrementare la competitività professionale: questa è la sfida per le imprese e per le singole persone. Per le imprese questa sfida passa dalla capacità di collegare ciò che i clienti apprezzano nei prodotti e nei servizi (cioè la competenza distintiva dell’impresa stessa) aggiornando continuamente  le differenti competenze professionali dei diversi attori aziendali. Per i singoli collaboratori la sfida è rappresentata dalla capacità di sottoporre ad un aggiornamento e un miglioramento continuo il proprio bagaglio di competenze e quindi della propria capacità di risolvere i problemi. Per fare questo non è sufficiente affidarsi alle istituzioni professionali tradizionali ma presuppone anche un cambiamento culturale. È la cura del proprio patrimonio professionale che rappresenta, sempre di più, una leva insostituibile. Ma questa leva si aziona solo se la persona adulta riflette sul proprio processo di apprendimento, ne comprende i processi che lo facilitano, lo finalizza ponendosi sempre nella condizione di valutarsi e di correggersi, se necessario. Secondo il saggista americano Alvin Koffler “Gli analfabeti del futuro non saranno quelli che non sanno leggere e scrivere ma quelli che non sapranno imparare, disimparare e imparare di nuovo.” I dati parlano chiaro. Gli effetti della quarta rivoluzione industriale comporteranno nuove attività nei prossimi cinque anni che creeranno circa due milioni di nuovi lavori. Purtroppo circa sette milioni di posti di lavoro saranno distrutti e questo al netto di eventuali nuove crisi. Essere preparati a questi passaggi epocali non è solo un problema che riguarda i giovani o gli altri. Riguarda tutti.

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