Nuove prospettive per il riformismo dei corpi intermedi

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Sergio Bellavita neo dirigente USB ed ex dirigente FIOM CGIL lancia una sfida addirittura al Governo Renzi: “a settembre sciopero generale contro le politiche economiche e sociali imposte dalla UE a difesa della Costituzione e dei contratti nazionali”. Niente di meno. È la storia che si ripete. Prima i Tiboni, poi i Bernocchi, poi i Cremaschi. La galassia del cosiddetto sindacalismo di base si è sempre nutrita di una micronesia di situazioni cresciute intorno a personaggi profondamente diversi tra di loro e dall’estremismo da salotto televisivo chiaccherone ma spesso inconcludente. Pur con tutti i distinguo del caso le esperienze di persone o gruppi organizzati che si agitano a sinistra dei grandi sindacati confederali non è nuova né figlia della globalizzazione. È una storia iniziata fin dagli anni ’70. Chi esce sbatte sempre la porta e accusa chi resta del peggio del peggio. Perché registrarlo? Perché, secondo me, la mossa di Landini è da inserire in un disegno forse più interessante che può guardare lontano. Soprattutto può consentire anche alla Cgil di guardare lontano e di poter contare sulla FIOM, il che non è poco. È indubbio che il sindacato confederale sia in parte confinato e costretto a difendere, pur in mezzo a grandi difficoltà, le condizioni di vita e di lavoro delle generazioni che lo hanno costruito così com’è oggi, il loro modo di pensare e tutte le liturgie annesse che costituiscono la vita e l’agire delle grandi organizzazioni di rappresentanza. Questa difficoltà è, sia di azione, che di modello organizzativo. È evidente che una strategia praticabile presuppone obiettivi chiari e risultati certi oggi sempre più difficili da realizzare. Un mondo che mette in forte crisi forme orizzontali e tradizionali di solidarietà tra simili, siano essi nel Paese o nel resto del pianeta e favorisce forme nuove di convergenza di interessi tra capitale e lavoro un tempo inimmaginabili. Un mondo dove la rete di interessi da tutelare si scompone e si ricompone continuamente. E infine dove l’inclusione o l’esclusione dai diritti di cittadinanza, economici, di status sociale, non è più possibile ritenerli acquisiti anche quando, e se, raggiunti. Cosa saranno il lavoro (inteso come valore, modalità e contenuti), il welfare (vecchio e nuovo), l’istruzione (dopo la scuola e fino alla pensione), i diritti fondamentali di cittadinanza in un mondo globalizzato e in quale modo sarà possibile conquistarli e mantenerli per le differenti generazioni rappresenta la nuova frontiera per un sindacato che vuole essere autenticamente riformista. Le risposte possono essere molte e diverse tra di loro. Ma la vera partita del sindacato si giocherà proprio su questo. Ed è altrettanto chiaro che solo un sindacato che ritrova una prospettiva unitaria può ritornare ad essere autorevole sulla direzione di marcia da prendere. Questa prospettiva consentirebbe, tra l’altro, di mettere mano anche al modello organizzativo rimettendo al centro il territorio e le comunità locali che il processo di globalizzazione renderà sempre di più determinanti e vitali. Tra l’altro l’ultimo libro di Gaetano Sateriale della Cgil ne ribadisce il valore e l’importanza strategica. Marco Bentivogli si muove con altri dirigenti sindacali nella prospettiva di un forte sindacato industriale nella Cisl. Lo stesso Luca Visentini, neo eletto segretario generale del sindacato europeo, è impegnato a costruire un sindacato riformista e moderno in un’ottica sovranazionale. I modelli contrattuali, oggi in discussione, sono destinati ad andare proprio in questa direzione semplificando in termini quantitativi e di contenuto i contratti nazionali contribuendo a favorire l’affermarsi di una cultura maggiormente collaborativa tra mondo del lavoro, impresa e territorio. Dall’altra parte, anche dal mondo delle imprese qualcosa di importante si sta muovendo in questa direzione. Dalla Luxottica, alla Ferrero, alla Barilla, a molte PMI, stanno proponendo organizzazioni che riportano al centro la persona, il suo contributo al lavoro, la qualità, la quantità e la rimessa in discussione del luogo dove lo stesso si potrà svolgere. Nella stessa proposta di Federmeccanica ci sono importanti elementi che vanno in questa direzione. Insomma dopo aver toccato con mano i rischi e le difficoltà connesse ad un mondo che cambia troppo velocemente forse è possibile intravederne le opportunità non solo nelle imprese più attente ma anche per le organizzazioni di rappresentanza. Da qui la necessaria rivisitazione della governance dei sistemi bilaterali e di welfare condiviso. Impresa, territorio e comunità come cardini di un nuovo progetto riformista al quale i corpi intermedi potrebbero partecipare uscendo definitivamente dai vecchi confini e dagli steccati creati nel novecento. C’è un grande spazio per una nuova cultura della collaborazione. Una cultura che sappia rimettere al centro l’impresa come luogo di creazione del valore ma anche come luogo di condivisione. Un’impresa che, proprio per questo, rispetta l’ambiente, il territorio ed è parte della comunità nella quale è inserita. Un’impresa moderna, utile, eticamente determinante per la crescita delle persone che vi operano. Per fare questo, però, non basta qualche imprenditore illuminato. Occorre creare un contesto comune dove chi vuole giocare questa partita possa farlo con impegno e serietà. Ma occorrono anche corpi intermedi che sappiano guardare avanti anche oltre i loro pur legittimi interessi di parte. Quello che è chiaro ė che sempre più le convenienze e le aspettative della comunità dovranno coincidere con i nuovi equilibri che si individueranno tra i diversi soggetti che interagiscono e si confrontano nella comunità stessa. La capacità e il compito di individuare questi nuovi equilibri e definire le indispensabili priorità sociali spetta, ovviamente, alla politica. La proposta e l’iniziativa, al contrario, spettano a tutti coloro che vogliono ritornare ad essere protagonisti e giocare così un ruolo nuovo e costruttivo nell’interesse del futuro del Paese.

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