Mi sono stancato di sondaggi e commenti come credo tanti come me. La Brexit e le elezioni americane mi sono bastate.
La superficialità, salvo pochi casi, ormai domina sovrana. Purtroppo gli stessi soggetti che non hanno azzeccato alcuna analisi continuano imperterriti nonostante la pessima figura registrata.
Con una rapidità impressionante i media hanno scaricato i sondaggisti che, rassegnati e desiderosi di non essere messi definitivamente fuori gioco, hanno accettato la parte pur non essendo gli unici colpevoli…
Sul referendum istituzionale il gioco continua. I temi sono due e, guarda caso, nessuno sul merito del referendum stesso: la fine di Renzi come Presidente del Consiglio e la conseguente resa dei conti nel PD.
Il primo tema mi sembra scontato: se Renzi perde si dovrà fare da parte come Presidente del Consiglio. Lo ha detto e credo che lo faccia.
Il punto che forse molti sottovalutano è che, anche in questo caso, Renzi non perderà affatto sul piano politico. Avrà “solo” perso il referendum.
Proprio l’averlo personalizzato e aver spinto la compagine che lo ha avversato a personalizzarlo contro di lui lo porrà alla testa della percentuale che, pur nel caso di una sconfitta di misura, rappresenterà comunque un’area vera che esprime una volontà di cambiamento ben maggiore dell’elettorato del PD stesso.
E, siccome l’eterogeneità degli avversari non consentirà alcuna riforma, si potrà preparare alle elezioni del 2018 alla testa di un partito, il PD nel quale gode di un consenso ben maggiore di quello accreditato da chi tende ad enfatizzare posizioni assolutamente irrilevanti presenti al suo interno.
Quindi chi pensa di mandare in pensione anticipata un leader che registrerà comunque un successo personale ben superiore a quello del suo litigioso partito mentre gli avversari dovranno accontentarsi di un risultato ingestibile credo abbia fatto male i suoi conti. Così come chi, nel PD, pensa di rientrare in gioco in un partito pur litigioso oltre ogni immaginazione ma profondamente cambiato.
In un Paese in affanno e in difficoltà sociale ed economica con un destra in ricostruzione tra salviniani anti euro e governativi filo europei e i grillini in crisi di crescita, le elezioni del 2018 non si presenteranno così negative per chi sarà individuato come l’unico che ha tentato di personificare e portare avanti un cambiamento fortemente contrastato e, a quel punto, tutt’altro che compiuto.
Lo stesso cambio di tono di questi mesi segnala un disegno che guarda più in là del voto imminente. L’aggressività nei confronti dei “burocrati” dell’Unione non è casuale né finalizzata solo al 4 dicembre. In gioco c’è molto di più.
Soprattutto dopo le elezioni USA.
Questa è la ragione principale per cui il mio SI non si esaurisce il 4 dicembre dove è naturalmente scontato. Voglio pensare che il patrimonio di consenso che prenderà forma quel giorno al di là del risultato numerico verrà raccolto con convinzione per continuare a tenere accesa la volontà di cambiamento del Paese indispensabile a prescindere dall’attuale Presidente del Consiglio.
Di questo ce n’è indubbiamente un gran bisogno. E da questo punto di vista il referendum istituzionale è certamente un’occasione importante per mostrare fin dove possono arrivare i nuovi confini.
È vero c’è stata la Brexit, Trump ha vinto negli USA votato anche dagli operai e il disallineamento tra popoli e rispettive elites sembra approfondirsi.
Ma il referendum in Italia non c’entra praticamente nulla con tutto questo.
Gli altri Paesi hanno un debito pubblico sotto controllo, non hanno tre delle cinque mafie più importanti sul loro territorio e non hanno un’evasione fiscale paragonabile alla nostra.
Cambiare non è solo un capriccio di pochi ma un’esigenza del Paese e dire che è possibile comunque farlo dicendo NO al referendum, pur incomprensibile, resta un diritto.
Pensare di farlo mettendo insieme una compagnia eterogenea che è la stessa che ha fatto poco o nulla fino ad ora è un’impresa impossibile.
Per questo il SI vincerà comunque. Che piaccia o meno agli esperti di casa nostra….