Si può fare. Lavorare nell’interesse delle imprese del terziario di mercato e del mondo del lavoro è, da oggi, un obiettivo comune. Confcommercio e CGIL, CISL e UIL hanno siglato un’intesa importante che copre 14 contratti nazionali operanti nel terziario di mercato di cui beneficiano oltre quattro milioni e mezzo di addetti.
Un settore importante per il PIL, per l’occupazione e per lo sviluppo economico e sociale del Paese. Per questi lavoratori e per le loro aziende, indipendentemente dalla dimensione e dal settore, sono state definite nuove regole del gioco e una certezza: il CCNL di riferimento resta centrale seppure molto più aperto e flessibile.
Può essere derogato sperimentalmente anche su materie economiche, può essere decentrato sia a livello territoriale o aziendale, può aprire a intese su produttività e competitività e può intervenire anche su singoli contenuti tutti modificabili ma all’interno di regole condivise.
Non va mai sottovalutato il fatto che, oggi, la contrattazione decentrata non supera il 3% dell’intero comparto. Il testo infatti recita: “il CCNL (pertanto) non si limita a stabilire i trattamenti retributivi minimi, ma è anche sede per concordare previsioni in materia di flessibilità e produttività immediatamente esigibili per le aziende, adeguabili all’evoluzione del quadro normativo, organizzativo ed economico e dare certezza al mondo del lavoro rispondendo a nuovi bisogni”.
A differenza di quello siglato ieri per l’artigianato, l’accordo nel terziario riguarda aziende in settori molto diversi fra loro e di ogni dimensione; quindi deve necessariamente poter essere montato e smontato in base alle specifiche esigenze e contesti pur in un quadro di riferimento omogeneo. E questo, diventa finalmente possibile.
E qui penso, ad esempio, alle aziende della GDO che, anziché intestardirsi su di un loro specifico contratto nazionale che rischiano di non avere mai, potrebbero costruirsi in casa le risposte di cui hanno bisogno.
Non meno importante è la volontà delle parti di darsi atto che la loro rappresentatività deve essere certa e misurabile anche per evitare pessime operazioni di dumping contrattuale con controparti fantasma o di aggiramento di norme e obblighi da parte di imprese o comparti che “fingono” apparenti disponibilità negoziali con l’unico scopo di non pagare il costo del contratto nazionale o di ritardarne il pagamento ai propri collaboratori ma anche alla collettività in termini di minori contributi fiscali e previdenziali.
La parte finale affronta il tema dell’importante welfare contrattuale di cui il settore è stato un precursore, consolidandolo e rilanciandolo e del sistema bilaterale nel suo complesso come elemento concretamente partecipativo.
A mio parere si tratta di un accordo importante sul quale occorrerà ritornarci con maggiore approfondimento su singoli aspetti visto le diverse materie trattate ma che dimostra la volontà di Confcommercio di impegnarsi per innovare un sistema complesso, renderlo flessibile per tutelare meglio le singole imprese valorizzando però il rapporto con le organizzazioni sindacali confederali e uscendo, per la prima volta, dai confini, limitanti nella visione sistemica e strategica, delle tradizionali controparti sindacali di categoria.
Dall’altro lato, non può sfuggire agli osservatori più attenti, la posizione dinamica, costruttiva e innovativa della CGIL messa in campo insieme a CISL e UIL che, con questa intesa, contribuisce a individuare un passaggio fondamentale nella costruzione di nuove relazioni sindacali non solo nel terziario.
Susanna Camusso è riuscita a riposizionare la CGIL, senza clamori mediatici, a restituirle un ruolo centrale dopo anni caratterizzati dalle stagioni delle firme separate nei contratti nazionali di categoria, la conseguente quanto inevitabile deriva identitaria che ha contrapposto le tre sigle e, di fatto, la strisciante emarginazione di tutto il sindacato confederale dalla vita reale di molte imprese.
Questo accordo può aprire certamente una nuova fase sia per le prospettive del sindacato stesso che nei rapporti con le associazioni datoriali.
Adesso, dopo le organizzazioni dell’artigianato e Confcommercio, tocca a Confindustria. La corresponsabilità che nel terziario è stata declinata fondamentalmente nel rilancio e nel rafforzamento della cultura della bilateralità, anche per la dimensione delle imprese coinvolte, può fare un ulteriore passo in avanti? Staremo a vedere.
Una cosa però è certa. Con questo accordo i corpi intermedi si danno, di fatto, una strategia comune impedendo rischiose fughe in avanti propugnate da tanti neofiti del rinnovamento dei sistemi contrattuali che si limitavano a suggerire improbabili quando inutili scorciatoie.
Esiste certamente un problema di produttività nelle imprese, ma esistono problemi legati al costo dell’energia, alla mancanza di infrastrutture idonee e di garanzie di legalità, alla burocrazia, ai livelli di formazione e di istruzione e alla certezza del diritto che ostacolano competitività e crescita che non possono essere ulteriormente rinviate.
D’altra parte queste intese non solo possono contribuire a rasserenare il clima sociale ma possono anche costruire convergenze utili alla definizione di quel patto sociale sempre più necessario a rilanciare la crescita del nostro Paese e il riferimento nel testo alla volontà di costruire “una sede permanente dove sviluppare confronti finalizzati a soluzioni e proposte in materie economiche e sociali da sottoporre alle istituzioni” va in questa direzione.