Difficile prevedere come finiranno le due vertenze aperte in questi giorni. E, comunque si concluderanno, rappresentano l’inevitabile tramonto di una cultura che appartiene al secolo che abbiamo alle spalle. Un tramonto, però, troppo lungo che non possiamo più permettercelo.
Alitalia e tassisti rappresentano, che lo si voglia riconoscere o meno, due facce della stessa medaglia. Lo stesso potere di interdizione e, sostanzialmente, lo stesso target di cittadini/consumatori coinvolti. I primi invocano la nazionalizzazione, i secondi la difesa ad oltranza contro un futuro che non li prevede. Almeno così come molti loro intenderebbero affrontarlo.
Individualmente hanno buone ragioni. Le stesse del negoziante che chiude per l’arrivo nel quartiere di un supermercato che apre h24, del lavoratore che perde il lavoro perché la sua azienda delocalizza, del piccolo artigiano mobiliere brianzolo con l’arrivo di IKEA.
Loro sono diversi solo perché hanno ancora un enorme potere di interdizione. Ma il destino è comunque segnato. Entrambi, almeno così appare, non cercano, almeno per il momento, nessuna mediazione.
Ad oggi, sei giorni di blocco del servizio da parte dei tassisti. Sull’altro versante una reazione durissima su tutte le proposte aziendali. Il tono, in entrambe le vertenze, nasconde ovviamente preoccupazione e paura. Come nel 900 ci si affida e si spera che un terzo soggetto (il Governo) ci metta del suo per riportare indietro le lancette del tempo.
Nel caso dell’Alitalia ci sono evidentemente responsabilità da distribuire. Quindi non riguardano solo i lavoratori e i loro rappresentanti. Questa però è solo una magra consolazione. Personalmente mi ricorda la vertenza Unidal (Motta e Alemagna) sul finire degli anni 70 dove, dopo la presentazione di un piano che prevedeva quasi tremila licenziamenti respinto al mittente con lotte durissime, si concluse con oltre quattromila licenziamenti e la fine di entrambe le aziende.
Alitalia oggi è ad un passo dal fallimento. Non ha più nulla della compagnia di bandiera del secolo scorso né potrà ritornare ad esserlo. Può però essere oggetto di un profondo ridisegno del perimetro di attività e di una ridefinizione del numero degli addetti, del loro utilizzo e del costo complessivo del lavoro. Il confronto non può essere spostato su altro. Né sulle recriminazioni.
E va fatto in tempi sufficientemente rapidi affinché la ragionevole certezza di un suo possibile rilancio convincano azionisti e Governo a sostenerla con tutto ciò che è in loro potere decidere. Non esiste un piano B. Così come per i tassisti. Occorrerebbe mettere a loro disposizione e alle loro rappresentanze qualcuno che li aiuti ad evolvere con progetti, idee e modalità di lavoro nuove. Spingerli a prendere atto che non è nel muro contro muro che risiede il loro futuro.
Personalmente spero che il Governo non si limiti a rimuovere il vulnus che ha causato la protesta ma che, al contrario, apra un percorso di confronto aiutando almeno i tassisti più sensibili a riflettere su opzioni possibili, su come attivarle nel tempo e su come favorirle, su come, infine, attenuare le conseguenze del cambiamento necessario.
È vero che l’Anpal è solo all’inizio ma questo potrebbe essere un importante compito da affidargli. Come si costruiscono progetti imprenditoriali piccoli o grandi non è altra cosa rispetto a come si trova un lavoro dipendente dopo averlo perso.
Occorre abbassare il livello di paura nei confronti del futuro. Occorre aiutare le persone ad affrontarlo. Altrimenti non resta che la resistenza a oltranza.
Anche se, purtroppo, questo rappresenta il canto del cigno di abitudini e convinzioni che non si rassegnano a cedere il passo a modelli di risoluzione dei conflitti più concreti ed efficaci.