La reazione del Ministro dei Trasporti sulla povertà dei contenuti lavorativi dei consegnatari di Foodora è piaciuta al segretario della CGIL Susanna Camusso. In effetti è un lavoretto.
La cosiddetta new economy genera anche modeste attività di consegna. Lavoro povero. Così come la nuova logistica genera, a sua volta, lavoro poverissimo. Vale anche per Uber che trasforma normali pensionati o disoccupati in neo tassisti part time o Airbnb che trasforma la vicina della porta accanto in una affittacamere. Non è tutto oro quello che luccica.
Alcune grandi multinazionali “approfittano” delle esigenze di reddito di un ceto medio impoverito per crescere in assenza di regole. Ma questo è un altro tema. I lavoretti sono sempre esistiti. Prima c’era il cassaintegrato in nero che sostituiva l’artigiano o l’universitario trentino che raccoglieva le mele nella Val di Non, oggi sostituito da immigrati rumeni.
Cosa sta cambiando allora nel lavoro? Per tanti lavoratori tradizionali, apparentemente nulla. Ci sono ancora operai, impiegati pubblici e privati, lavoratori dei servizi o della Grande Distribuzione per i quali non è cambiato il contenuto del loro lavoro. Per ora.
È cambiato però completamente il contesto nel quale, anche questi lavori vengono eseguiti. Molte delle loro imprese, se hanno un mercato globale devono cambiare, innovare, riorganizzarsi, comprimere anche i loro costi, impegnarsi in investimenti ad alto rischio per poter competere e rispondere alle richieste di flessibilità imposte dalle filiere globali nelle quali sono inserite.
Le aziende dove lavorano nascono e muoiono con una rapidità sconosciuta fino a poco tempo fa. E quindi, pur impegnati in una attività tradizionale, devono essere preparati a cambiare molto più spesso dei loro genitori.
Se le loro aziende interagiscono nel mercato interno devono competere con nuovi soggetti economici che operano in altri Paesi con regole diverse, controllano funzioni o mercati a monte o a valle, cambiano offerta e domanda di beni e servizi. Condizionano i consumatori.
Anche le imprese manifatturiere tradizionali sanno che, al prodotto, pur innovativo e al processo tecnologico che serve a metterlo sul mercato, devono predisporsi ad un salto culturale e aggiungere una serie di attività che assicurino nuovi servizi per il cliente o per il mercato di riferimento.
La parte di manifattura tradizionale e il lavoro che in essa si svolge, pur evolvendo necessariamente verso modelli non fordisti, perdono di centralità per l’impresa nel suo complesso che deve saper fare anche altro per competere.
La nuova cultura del lavoro nasce da qui. In un mondo che cambia, una parte delle mansioni e dei mestieri, pur necessari e numerosi, normati dalla contrattazione e dalle leggi nella seconda parte del 900, perdono valore economico e riconoscibilità sociale mentre ne nascono altri. Alcuni, pur non normati, sempre poveri come contenuto, altri di maggiore contenuto professionale per le capacità e per le competenze richieste.
Stabilire regole comuni di entrata nel mondo del lavoro, pensare che queste opportunità siano a disposizione di tutti allo stesso modo, definire norme indifferenziate, luoghi di lavoro tradizionali, orari e strumenti di lavoro identici per tutti è una operazione inutile. O meglio è una riproposizione di uno schema che non può funzionare.
A fronte di un “accanimento terapeutico” di norme e leggi prodotte da giuslavoristi, prima e da economisti, poi, la stragrande maggioranza delle imprese ha scelto di “gestire dinamicamente” leggi e contratti cercando di ridurne l’effetto frenante sul business e sull’organizzazione. Sfruttandone le potenzialità o lasciandole in un cassetto. Contando anche sulla sostanziale ritirata del sindacato dalle problematiche gestionali dell’impresa e dalla convergenza che si crea con l’insieme dei lavoratori in caso di crisi o di necessità particolari.
La positività di alcuni contratti sta proprio nella libertà che lasciano alla singola azienda di adattare norme e regole alle esigenze. Non è un caso che il Contratto Nazionale del Terziario lascia, meglio di altri, questa flessibilità ed è per questo è utilizzato da migliaia di aziende di differenti settori merceologici. Così come non è un caso che è proprio l’ultimo residuo di cultura fordista commerciale, la Grande Distribuzione, che spinga per un contratto nazionale dedicato tutto concentrato sul costo.
E qui sta un altro paradosso su cui riflettere. La modernità del modello organizzativo della GDO era tale nel 900. Oggi non lo è più. Deve competere con modelli tipo Amazon che la insidiano sempre di più in termini di organizzazione delle vendite, delle promozioni, degli orari di vendita, del rapporto con i consumatori.
E questo spinge tutta la GDO a continue riorganizzazioni con forti pressioni e aggressività sui costi, innanzitutto su quello dei fornitori e del lavoro, che si riflette inevitabilmente sulle relazioni sindacali e con i fornitori.
Così mentre molti piccoli esercizi si stanno in parte attrezzando e oggi, attraverso una evoluzione digitale alla loro portata accrescono il loro potenziale di mercato, la GDO si avvita su se stessa senza riuscire ad innovarsi nei format di vendita. Anzi, il modello di riferimento, gli ipermercati, rischia di trovarsi in una crisi irreversibile.
Per tutto queste considerazioni il lavoro che verrà è già qui. Intreccia il suo lato povero o tradizionale su cui occorre trovare risposte diverse dal 900 che assicurino diritti di cittadinanza esigibili, un salario minimo, dignità nuove e un welfare contrattuale adeguato. Ma presenta anche nuove opportunità, soprattutto per i più giovani e per coloro i quali vogliono crescere professionalmente. E per le aziende che vogliono investire su se stesse e sui propri collaboratori.
Per queste imprese le regole devono essere lasche, intelligenti, costruite per motivare, coinvolgere e raggiungere gli obiettivi di business. Non legate a modelli superati.
Lavorare a questa nuova impostazione che comprenda gli uni e gli altri con le rispettive differenze dovrebbe essere il compito delle parti sociali e degli esperti della materia. Al centro attraverso leggi e contratti nazionali evoluti, in azienda coinvolgendo i diretti interessati.