Riforma dei modelli contrattuali e ruolo delle parti sociali

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Recentemente Paolo Pirani, segretario generale della UILTEC, ha dichiarato che, a suo parere, non serve più concludere la trattativa con Confindustria sulla riforma dei modelli contrattuali perché la stessa sarebbe già, di fatto, avvenuta con i rinnovi dei singoli settori industriali.

Pirani da per scontato ciò che, però, non lo è affatto. E cioè che gli impegni reciproci contenuti in ogni contratto settoriale troveranno, nella fase di gestione, l’equilibrio e la spinta innovativa necessari.

Per quanto mi riguarda continuo a pensare che un nuovo modello contrattuale non può limitarsi a riproporre uno schema che ha mostrato tutti i suoi punti deboli sia nei contenuti che nelle liturgie collegate. Occorre ripensarlo guardando in avanti.

Alcuni argomenti sono, per loro natura, materie di competenza confederale. Il peso della rappresentatività delle parti e le regole dei rinnovi, i confini applicativi e la titolarità di ciascun contratto, i livelli negoziali, i rispettivi contenuti e le eventuali derogabilità. Lo stesso welfare occorre consolidarlo su masse critiche ben più consistenti di quelle di oggi. L’accordo tra Cgil, Cisl, Uil e Confcommercio va sostanzialmente in questa direzione.

Visto da fuori, il negoziato aperto a suo tempo con Confindustria presenta una serie di contraddizioni. Da un lato il cosiddetto “Patto di fabbrica” con al centro la proposta forte della “corresponsabilità” annunciata fin dalla assemblea generale di Federmeccanica ma mai declinata concretamente. Soprattutto nelle contropartite per il sindacato.

Da allora ad oggi sono stati rinnovati tutti i contratti del comparto industriale rispettandone giustamente l’autonomia ma confermandone l’inevitabile differenza nei contenuti e nelle strategie. Nelle richieste di Confindustria ai sindacati sono chiari i vantaggi per se stessa mentre sono praticamente inesistenti le contropartite soprattutto alla luce del fatto che le altre organizzazioni datoriali, innanzitutto Confcommercio, hanno firmato un accordo con il sindacato confederale che copre l’intero comparto del terziario di notevole spessore e prospettiva.

Questi accordi evidenziano inevitabilmente una debolezza propositiva e negoziale. Con i contratti già firmati e con gli accordi delle altre organizzazioni con i sindacati solo un accordo “alto”, innovativo e ricco di vantaggi reciproci può far uscire dall’angolo il negoziato. Ed è proprio quello che non sembra essere nelle volontà dell’attuale vertice confindustriale.

Innanzitutto i tempi. Questo negoziato si trascina stancamente da mesi senza approdare a nulla di concreto che non sia già stato affrontato nei tavoli delle singole categorie, gli annunci forti del Presidente Boccia (Patto di fabbrica e corresponsabilità) restano affermazioni, al momento, privi di conseguenze concrete, la stessa richiesta di costruire nuovi contratti dei servizi innovativi pare più un’operazione di marketing associativo che di vera necessità per le imprese. Un contratto che comprende anche i servizi innovativi c’è già ed è quello del terziario firmato da Confcommercio utilizzato da molte imprese anche di altri settori proprio per la sua flessibilità applicativa che, se traslata nei contratti del comparto industriale ne minerebbe i contenuti e lo stesso perimetro applicativo.

Le differenze tra le due impostazioni sono notevoli. Innanzitutto i contratti del comparto industriale sono figli di una cultura che attraverso i rapporti di forza messi in campo ha determinato, di volta in volta, gli equilibri sui singoli contenuti, irrigidendone una possibile gestione dinamica tipica, al contrario, delle situazioni in rapido mutamento. Nel contratto del terziario tutto ciò non esiste.

Le vere rigidità, per assurdo, sono state costruite nelle singole imprese attraverso i negoziati aziendali soprattutto nella Grande Distribuzione proprio perché assimilabile culturalmente e organizzativamente al modello fordista industriale del secolo scorso. Infatti nel terziario di mercato la contrattazione aziendale non esiste se non in misura assolutamente marginale. E nessuna azienda, credo,  sembra disponibile a reintrodurla spontaneamente. E non certo per una questione dimensionale.

La contraddizione non risolta nei contratti industriali tra la complementarietà o l’alternatività tra i due livelli contrattuali nel terziario è stata risolta da anni. Non è un caso che, anche nella Grande Distribuzione, sono sempre più i contratti aziendali ,che hanno prodotto le maggiori rigidità organizzative, che vengono disdettati.

Così come la derogabilità degli istituti, anche economici non presente nei comparti industriali. Se prendiamo, ad esempio, lo spostamento a data da destinarsi, del pagamento di una tranche del’ultimo contratto nazionale del terziario, concordato tra le parti per evitare operazioni di dumping tra le imprese, ci rendiamo conto della profonda differenza di contesto.

Se questo è vero come si può pretendere in un negoziato complesso che i sindacati nel comparto industriale accettino un’impostazione che di fatto tenderebbe a renderli marginali proprio laddove vorrebbero sviluppare in futuro il loro nuovo ruolo negoziale, lasciando maggiore libertà alle imprese?

Da qui nasce lo stallo principale che potrebbe essere superato solo da un salto di qualità nei contenuti (ad esempio in termini di reale e concreta corresponsabilità attraverso forme di partecipazione) che oggi non sembra essere nella disponibilità o nella volontà dei negoziatori.

Oppure dal riconoscere, e qui condivido la tesi di Pirani, che solo nella futura contrattazione aziendale e nei contratti appena firmati si potrà trovare la soluzione ai problemi posti. Quindi nella vigenza concordata.

Il mondo è cambiato. Non basta rivendicare, come ha fatto giustamente il Presidente di Confindustria di essere ancora la seconda manifattura d’Europa; occorre, qui si, cambiare verso. Avere un progetto per il Paese, e, di conseguenza scommettere su nuove relazioni industriali, non accontentarsi di una logica tutta difensiva. Nelle imprese e tra i lavoratori e, di conseguenza anche in alcune organizzazioni sindacali e datoriali stanno emergendo esigenze strategie e interpretazioni nuove.

È indubbio che al past President Squinzi e quindi a Confindustria, va riconosciuto un merito oggi non abbastanza sottolineato: aver posto termine alla pratica degli accordi separati. Ma il merito di cambiare e innovare i modelli contrattuali e quindi di essere un punto di riferimento e di sintesi non si eredita. Lo si conquista con proposte e con risposte concrete. Soprattutto in tempi di grandi cambiamenti.

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