L’apparenza spesso inganna. Da quanto si legge sui quotidiani Confindustria insiste per sottoscrivere con i sindacati confederali un testo sui servizi innovativi come primo passo nel percorso che mira a concludersi, entro il mese di maggio, sugli assetti contrattuali.
Molte aziende, ed è cosa nota, pur continuando ad essere associate a Confindustria, applicano da tempo il contratto nazionale del terziario di Confcommercio ritenendolo più rispondente a proprie esigenze specifiche e questo senza alterare equilibri contrattuali consolidati interni all’impresa stessa.
Confindustria, sia per questioni di rappresentatività ma soprattutto per evidenti ragioni di marketing associativo, spinge per ottenere per sé un risultato specifico propedeutico all’accordo generale.
È lo stesso spirito che ha spinto parecchio tempo fa, Federdistribuzione a “pretendere”, per il proprio perimetro associativo, una soluzione analoga. Un contratto nazionale specifico che, a prima vista, poteva rappresentare la soluzione ideale.
Gli stessi sindacati di categoria allora hanno vissuto quella richiesta come utile e possibile. Addirittura l’hanno preceduta e accompagnata inviando una piattaforma unitaria identica (più o meno) a quella di Confcommercio. Il risultato è stato però, fin dall’inizio, disastroso.
Ad oggi, le aziende che hanno deciso di applicare il contratto Confcommercio subiscono da mesi una situazione di dumping dai concorrenti che si riconoscono nella posizione espressa da Federdistribuzione mentre i loro dipendenti continuano a non aver nessun contratto. Le autorità ministeriali preposte al controllo e alle ispezioni non si muovono (opportunisticamente) sperando che la situazione evolva positivamente mentre i sindacati di categoria non riescono a sbloccare nulla per le evidenti difficoltà di mobilitazione dei lavoratori.
Lo stallo è così assicurato. Nel frattempo le singole aziende si “godono” il dumping se schierate da una parte o, al contrario, ne subiscono le conseguenze, se hanno deciso di applicare il Contratto nazionale firmato da Confcommercio.
Che lo si voglia o meno, qui sta il punto. Le aziende, oggi, non si muovono più in una logica puramente associativa. Applicano o non applicano ciò che ritengono più conveniente per il loro business a prescindere dai sistemi regolatori predisposti dalle organizzazioni di rappresentanza. Quindi una cosa è la declinazione aziendale del “patto di fabbrica” (peraltro in linea con i rispettivi contratti nazionali già firmati) con possibili deroghe dal CCNL di categoria specifiche e contrattate, un’altra è la inevitabile “gara” al ribasso tra contratti nazionali diversi, pur sempre applicabili, in base alla convenienza di una delle due parti.
È indubbio che i sindacati confederali si trovano di fronte ad una scelta difficile. Stabilire confini applicativi sulla scorta dell’attuale regolamentazione lasciando libere le singole categorie, optare per nuove aggregazioni (ad esempio: industria, terziario, agroalimentare da cui far discendere deroghe e specificità ai livelli sottostanti), oppure subire l’idea che ogni azienda fa un po’ ciò che gli pare in base alle proprie convenienze e ai rapporti di forza che riesce a mettere in campo.
Per questo il confronto in atto tra le sigle confederali e Confindustria non è secondario e scevro da conseguenze a catena sugli assetti contrattuali futuri non solo del settore industriale. Quindi ben al di là delle esigenze specifiche.
Probabilmente, se guardiamo solo a dieci anni, le aggregazioni associative di entrambe le parti costruite nel novecento non avranno più ragione di esistere nelle forme conosciute fino ad oggi. Evolveranno e si semplificheranno inevitabilmente. Sicuramente questo avverrà sul tema del lavoro per la caduta delle differenze settoriali, le inevitabili evoluzioni del contesto sociale, degli stessi contenuti normativi, delle modalità delle prestazioni, della formazione necessaria e del welfare collegato.
Ma ragionare sul futuro è cosa molto difficile quando i rispettivi apparati spingono per soluzioni apparentemente più semplici.
Enzo Bianchi ci ricorda sempre che: “Sovente costatiamo che il mondo non cambia mai. Tuttavia continuiamo a credere e sperare che val la pena di tentare e ritentare di cambiarlo”. Ognuno nel suo ambito. Questo penso sia l’auspicio che ci dovrebbe sempre guidare.