Premetto che non ho alcuna voce in capitolo. O meglio. Pago le tasse e quindi la vicenda Alitalia mi riguarda direttamente visto che sarò chiamato, seppur indirettamente, a contribuire una volta trovata una possibile via di uscita.
Anche in questo caso, a mio parere, vale il consiglio dell’amico Becchetti che suggerisce di “votare con il portafoglio”. Personalmente è quello che vorrei fare.
Alitalia, così come l’abbiamo conosciuta, è morta. C’è una remota possibilità di rimettere in piedi un’azienda diversa ma utile al Paese? Se si, sei mesi di prestito non bastano. Però sono sufficienti per costruire un progetto serio, condiviso attraverso il quale confrontarsi con partner internazionali.
Oggi non è possibile così come non lo può essere con questo management vecchio o catapultato all’ultimo momento per gestirne l’agonia. Ma anche con un sindacato di categoria la cui credibilità è vicina allo zero.
Per ripartire da zero i messaggi devono essere chiari. Ai soci, ai lavoratori e al Paese. Soprattutto ai possibili investitori. Ci vuole un segnale di discontinuità molto forte. Mauro Moretti è, a mio modesto parere, la persona giusta.
Sa come si negozia con il sindacato, sa come affrontare i lavoratori soprattutto quelli che difendono privilegi improponibili, sa come affrontare i concorrenti. Soprattutto conosce il mondo dei trasporti e le possibili sinergie con Trenitalia.
Da quello che si legge il dissenso tra il segretario del PD Renzi e il ministro Calenda non sembra essere tattico. Il primo crede in un futuro di Alitalia come azienda. Il secondo, no.
Il primo sa che i sacrifici che devono essere chiesti sono molto pesanti e che per i sindacati non sarà facile seguirlo. Però ritiene che valga la pena giocare fino in fondo la partita. Anche per l’immagine del nostro Paese.
Il secondo, di scuola confindustriale, pensa che la partita sia già persa e quindi si preoccupa di gestirne i costi per il Paese per le possibili conseguenze economiche e sociali.
La scelta del commissario, credo, risentirà di queste posizioni. Renzi deve necessariamente riprendere in mano l’agenda politica e le priorità del Paese.
Di fronte ha Grillo che propone sostanzialmente che tutto resti com’è senza indicare chi dovrà pagarne il conto, l’attuale governo e i sindacati confederali che, senza un vero cambio di passo, possono solo balbettare.
Serve una svolta e serve chi può simboleggiarla. Altrimenti è meglio starne fuori. Nessuna partnership internazionale sarà possibile senza un forte committment politico.
Un eventuale nuovo progetto complesso travalica necessariamente i tempi di questo governo al contrario delle rassicurazioni ai lavoratori, ai clienti e agli investitori che devono essere immediate.
Certo non è un manager, seppur di qualità, che può, da solo, invertire la rotta di un’azienda ormai senz’anima e forse rassegnata ad un inevitabile destino.
Mi viene però in soccorso un vecchio proverbio arabo che recita: “tra morto e morto e sepolto c’è un’enorme differenza.” Forse è ancora il caso di provarci.