Credo sia rimasto solo il Ministro del Lavoro Poletti e qualche suo fedelissimo dirigente ad attendere fiducioso la firma di quello che avrebbe dovuto essere il quarto Contratto nazionale della Grande Distribuzione firmato da Filcams CGIL, Fisascat CISL, e Uiltucs UIL con Federdistribuzione.
Anche l’ultimo tentativo di trovare una soluzione sembra sia fallito. Probabilmente Federdistribuzione tenterà adesso di “allungare il brodo” suggerendo alle aziende di erogare una nuova tranche e rendendosi disponibile (a parole) alla prosecuzione del confronto con lo scopo di “distrarre” il ministro del lavoro che, peraltro, non sembra essere particolarmente interessato. Anche le “sue” cooperative hanno la loro vertenza in alto mare. E questo, lavoratori coinvolti a parte, conviene a tutti.
La firma, data per imminente in diverse occasioni continua a non esserci. E difficilmente potrà esserci come sostengo fin dall’inizio di questa lunga telenovela. Federdistribuzione, anche se non lo ammetterà mai, si è trovata (o si è messa da sola), tra l’incudine e il martello.
Pur non avendo un know how negoziale particolarmente sofisticato, ha pensato possibile evocare una specificità di comparto su cui far convergere le imprese associate senza valutare gli interessi spesso divergenti degli amministratori delegati delle singole realtà aziendali.
Sempre disponibili quando c’è la possibilità di non aumentare il proprio costo del lavoro, meno quando ci sono da condividere soluzioni particolarmente innovative. Nessuno, in sostanza, si vuole esporre. Venuta meno l’importanza del collante associativo, come obiettivo in sé, è rimasta sul tavolo la distanza sugli aspetti economici.
È stata probabilmente una ingenuità quella di pensare di poter ottenere un contratto nazionale in dumping avallata solo dal vago impegno di qualche dirigente sindacale di categoria particolarmente favorevole alla moltiplicazione dei contratti.
Fallito il “blitzkrieg” datoriale ma constatata contemporaneamente la scarsa conflittualità sindacale, il secondo assalto è stato condotto mettendo in campo nuovi protagonisti anche perché, nel frattempo, Confcommercio aveva firmato il suo contratto.
Due problemi di non facile soluzione sono fermi sul tavolo: il costo complessivo e le condizioni di un eventuale rientro nel fondo EST gestito da Confcommercio e CGIL, CISL e UIL di categoria dedicato al welfare sanitario.
Anche su questi punti, pur insufficienti di per sé a giustificare un ulteriore contratto nazionale, l’intesa si è dimostrata comunque impraticabile. La firma poi del protocollo sulla rappresentanza tra Confcommercio e CGIL CISL e UIL con gli impegni reciproci contenuti, sottoscritti proprio per impedire situazioni di dumping contrattuale, ha definitivamente stravolto il contesto rendendo di fatto, impossibile a chiunque, ottenere un risultato economico sostanzialmente diverso dai contratti nazionali di riferimento.
D’altra parte pensare che Confcommercio possa accettare di sostenere sulle sue sole spalle un impianto contrattuale importante e costoso per le sue imprese mentre “lontano dagli occhi” sindacalisti di vecchia impostazione insieme ad altre associazioni datoriali sottoscrivono tranquillamente accordi in dumping è un po’ difficile da pretendere.
E adesso cosa può succedere? Ovviamente nulla. Le aziende della GDO sanno benissimo che fino a Natale possono tranquillamente tirare a campare senza particolari problemi. Il sindacato di categoria, d’altro canto, non è in grado di esprimere nulla di incisivo.
Una prova di realismo da parte delle aziende più disponibili a non trascinare fuori tempo massimo la vertenza sarebbe quella di applicare il contratto in essere firmato da Confcommercio a fronte di precise contropartite da individuare.
Alcune aziende lo stanno già facendo dietro le quinte. Le più strutturate e con problemi veri dovrebbero muoversi cercando di individuare seriamente garanzie, bilanciamenti, tempi, modalità, contenuti. Credo sia interesse di tutti superare questa impasse.
Non sarà sufficiente l’erogazione unilaterale di una tantum a fine luglio da parte delle imprese né i continui equilibrismi di una parte del sindacato a concordare una via di uscita onorevole. Machiavelli ricorda sempre che non si può essere innocui al Popolo e di sollievo al Principe.
Sul versante politico il Ministro Poletti dovrà, prima o poi, rispondere della latitanza del suo Ministero. Su quello sindacale, probabilmente, si cercherà comunque di forzare la mano sul piano legale. Ma ne vale la pena?
Forse occorrerebbe prendere atto della situazione cercando, insieme (Confcommercio, Federdistribuzione, sindacati di categoria) una strada diversa da quelle percorse fino ad oggi che tenga conto del mutamento profondo dello scenario.
Ma anche musica e suonatori dovrebbero cambiare. L’interesse delle aziende e dei lavoratori del settore, i costi relativi e quindi l’entità degli aumenti e della sua distribuzione possono trovare una risposta percorrendo strade in linea con gli accordi firmati da Confcommercio con CGIL, CISL e UIL.
Ci sono diverse ipotesi percorribili e in linea con quanto richiesto (in termini di costi) dalle principali aziende del settore. Basta volerlo approfondire seriamente senza continuare a guardare il contesto dal proprio buco della serratura.
È chiaro che c’è un problema economico serio per le imprese della GDO. Nessuno lo nega. Occorre avere più coraggio e più consapevolezza in funzione di dove si vuole o si può arrivare. Più che cercare sponde inutili nel sindacato in una logica (questa si) da bottegai del secolo scorso le imprese dovrebbero guardare ai problemi che hanno di fronte a 360 gradi.
Le risposte esistono. Basta volerle trovare. Scegliere di non fare nulla, isolerà ancora di più le aziende della Grande Distribuzione che non lo meritano. E questa è una deriva che sarebbe meglio evitare. Da parte di tutti.