Ho chiesto a Luisa Panariello, 30 anni, blogger e nuova collaboratrice del CFMT di raccontare il business game BIG dal suo punto di vista. BIG nasce così. Dalla voglia di mettere in relazioni capacità e competenze differenti. Tipiche di generazioni differenti.
Queste le sue riflessioni…
Quando si parla di confronto intergenerazionale è facile imbattersi un una diffidenza dovuta dai pregiudizi consci o inconsci che si hanno, e ciò accade indipendentemente agli adulti così come ai più giovani.
Eppure, se solo si mettessero da parte questi condizionamenti mentali, si verrebbero a creare opportunità preziose ed educative per tutte le parti coinvolte.
Pensiamo, ad esempio, a quanto importante sia nel mondo aziendale l’approccio innovativo ed emotivo di un giovane neolaureato, con ancora quell’ingenuità tipica di chi non conosce le dinamiche lavorative. E pensiamo anche a quanto, allo stesso tempo, siano necessarie l’esperienza e le conoscenze di un professionista affermato.
È facile intuire che, unendo le peculiarità di entrambe le figure, possa nascere un’unione di sicuro successo. Sono queste le basi su cui il CFMT ha dato vita a “BIG”, il Business Intergenerational Game, che ha visto coinvolti 700 partecipanti tra junior (ragazzi dai 19 ai 29 anni) e senior (manager, quadri o imprenditori). Suddivisi in 88 squadre provenienti da ogni angolo d’Italia, i variegati team si sono messi alla guida della “Riboni”, una fantomatica azienda del giocattolo in difficoltà economiche.
In “BIG”, la sinergia all’interno dei team è stato un elemento fondamentale per riuscire nello scopo del business game, ovvero risanare l’azienda dallo scenario di crisi grazie soprattutto alla collaborazione intergenerazionale.
L’esperienza di “BIG”, a detta stessa dei partecipanti, si è rivelata come una fonte preziosa di apprendimento per tutti coloro che si sono messi in gioco. Gli studenti hanno avuto modo di confrontarsi con una realtà aziendale che, seppur simulata, è stato di fatto il primo approccio con ciò di cui in futuro avranno a che fare quotidianamente.
I professionisti, invece, hanno guidato i ragazzi nel gioco, supportandoli nei momenti delle decisioni organizzative ed economiche, ma senza mai bloccare la loro inventiva o la voglia di osare decisioni meno convenzionali.
All’interno del business game del CFMT, questo incontro tra esperienza e innovazione si è rivelato fruttuoso al di là di ogni aspettativa, ma non si può certo dire che non ci siano state difficoltà, in particolar modo all’inizio del gioco.
Molti giovani, frenati da un’idea sbagliata relativa ai manager, spesso visti come delle figure mitologiche lontane anni luce dalla loro realtà quotidiana, hanno mostrato un infondato servilismo nei confronti di questi professionisti.
Durante i primi contatti tra i membri dei team, alcuni ragazzi si sono rivolti a noi del CFMT preoccupati quando, ad esempio, dopo aver scritto ai senior via email non avevano ricevuto nessuna risposta. Alla nostra domanda se avessero anche provato a contattarli telefonicamente, i junior hanno risposto con un “No… e se poi disturbiamo?”.
Tranquilli, i manager non mordono! Il fatto stesso che abbiano scelto di partecipare e prendere a cuore “BIG” mostra la voglia che questi hanno di mettersi in gioco e di cercare il confronto con i più giovani.
Una volta superate queste prime problematiche, le cose si sono rivelate più semplici, nonostante le difficoltà logistiche che la modalità di gioco completamente web-based hanno comportato. In questo, però, sono stati d’aiuto i ragazzi, che hanno proposto metodi di comunicazione alternativi più immediati rispetto alle email, come app di messaggistica istantanea e chat di gruppo, che i senior hanno saputo accogliere in maniera propositiva.
Come ci ha insegnato BIG, il primo passo per aprirsi a un confronto costruttivo con chi è nato decenni prima o dopo di noi deve essere necessariamente il dare fiducia. Così come la fiducia è il pilastro di ogni rapporto interpersonale, anche il confronto intergenerazionale ha bisogno di avere questa solida base per poter costruire attorno le fondamenta.
È necessario mettere da parte i pregiudizi, perché approcciarsi agli altri con riserve nate da immagini mentali sbagliate non può che essere deleterio, e ciò vale per i giovani come per i senior. Senza la necessaria fiducia un manager non potrebbe mai responsabilizzare i ragazzi facendogli prendere autonomamente decisioni, ma si dovrebbe limitare a trattarli come dei soprammobili impolverati.
Anche la valorizzazione delle skills degli studenti è stata una chiave di volta in “BIG” e lo è ugualmente nella realtà di tutti i giorni quando si parla di confronto intergenerazionale. Se un dirigente non blocca la creatività e le idee innovative di un giovane, ma anzi ne assorbe la positività, è lì che avviene un piccolo miracolo intergenerazionale che rende le conoscenze degli adulti ali per le potenzialità dei giovani, piuttosto che pesanti fardelli.
Per quanto riguarda i più giovani, invece, i ragazzi hanno imparato come focalizzarsi sugli obiettivi comuni, lavorando con professionalità e serietà per il bene del team.
L’esperienza di “BIG” ha mostrato, dunque, che i manager sono propensi ad avere un’opinione positiva nei confronti dei giovani universitari, perché sanno che da loro possono apprendere determinate competenze e, perché no, riacquistare un po’ di quello spirito da Peter Pan andato perso nel tempo.
Durante le quattro settimane del Business Game i professionisti e gli universitari si sono confrontati, hanno imparato come gestire insieme la quotidianità dell’azienda e hanno affrontato insieme gli imprevisti del gioco, scambiandosi idee, opinioni e conoscenze (e in alcuni casi anche delle birre ghiacciate in compagnia!).
Il confronto tra generazioni, ci insegna “BIG”, se sfruttato sapientemente può portare cambiamenti positivi e di successo, ma solo se da entrambi le parti si ha una mentalità aperta e si è pronti a mettersi in gioco, anche quando questo significa minare le proprie certezze o affrontare i propri limiti.