L’interessante articolo di DI Vico sul Corriere di qualche giorno fa ( http://Bit.ly/2BHg9oW ) mi ha spinto ad una riflessione ulteriore. C’è una grande differenza tra l’empatia che provocano casi come Amazon, Ryanair e IKEA per la loro esposizione mediatica e il caso Melegatti.
I primi tre è indubbio che rappresentino semplicemente un tentativo di utilizzare i consumatori e i media per “costringere” le rispettive controparti ad un negoziato tradizionale.
Gioca a favore il trovarsi di fronte multinazionali che, per una parte ancora consistente della cultura italiana, mantengono una accezione negativa. Evocano, in molti la vicenda di Davide contro Golia e quindi provocano quasi naturalmente un sentimento tanto superficiale quanto diffuso di negatività che da un certo punto osservazione può essere scambiato per solidarietà.
Costruire una strategia sindacale su questo sentimento, però, non porta da nessuna parte. Almeno fino a quando il consumatore non troverà sul mercato alternative altrettanto percorribili. In altri termini il consumatore può incidere solo se può scegliere dove cercare lo stesso servizio o lo stesso prodotto altrove.
Può decidere, certo, di rinunciare all’acquisto compiendo però una scelta che non aiuta né i lavoratori né i sindacati. E, alla lunga rischia di inasprire ulteriormente le dinamiche tra azienda e sindacati.
Il caso della Melegatti ha un valore completamente diverso. E merita una riflessione più attenta.
In crisi per colpe esclusive della proprietà e con un marchio percepito dal consumatore come sinonimo di prodotto di qualità, Melegatti è situata in un contesto sociale ed economico dove il lavoro è ancora considerato come un valore dall’intera comunità.
Le stesse relazioni sindacali sono sempre state uno strumento di condivisione. Pur in presenza di una proprietà difficile. La crisi però non ha rotto questo patto sociale. Anzi. Ha saputo andare oltre il problema della proprietà, trascinando tutti i soggetti in campo verso una possibile soluzione positiva.
Lo stesso fondo che ha finanziato la ripresa ha compreso che attivare la cassa integrazione alla fine della campagna sarebbe stato un errore. Avrebbe rotto quel patto, irrimediabilmente.
La collaborazione ha funzionato ed è stata l’elemento vincente. E ha coinvolto il fondo, la gerarchia aziendale e i lavoratori. I consumatori hanno così percepito il valore aggiunto di questa unità di intenti e, soprattutto, che il loro contributo sarebbe stato determinante.
Il sindacato ha saputo amplificare questa situazione andando oltre il proprio ruolo e il legittimo risentimento verso una proprietà inconcludente.
Qui sta la potente novità che ci consegna l’esperienza Melegatti e che segna, questo si, un salto di qualità nel sistema delle relazioni industriali.
E non importa se i pandori Melegatti costeranno il doppio o il triplo di quelli che questa settimana verranno venduti nella GDO. La saldatura si è, per il momento, realizzata. Una sorta di “voto con il portafoglio” direbbe l’amico Leonardo Becchetti, che premia il valore percepito dal consumatore più che il valore effettivo del prodotto.
E questa è una strada nuova tutta da esplorare. Nuova perché i lavoratori continuano a fare i lavoratori, il fondo finanzia ma non “spreme” né l’azienda né il lavoro, il management non si defila ma, anzi, intensifica il suo impegno e il sindacato unitariamente agevola la continuazione delle attività supportandone lo sforzo di tutte le componenti diventate protagoniste.
Tutti però hanno acquisito la contezza della loro importanza sul risultato economico dell’azienda. Certo una rondine non fa primavera e non sappiamo se Melegatti ce la farà a competere in futuro in una nicchia, quella dei prodotti da ricorrenza industriali estremamente competitiva, però una cosa, questa vicenda, ce l’ha insegnata.
In un mercato competitivo, globale e molto complesso una nuovo modello di collaborazione tra capitale e lavoro, anche attraverso i suoi rappresentanti e con un coinvolgimento dei consumatori, può essere una leva determinante.
Materie prime, finanziamenti all’impresa, produzione, distribuzione e consumo acquisiscono una nuova dimensione sociale. Qui riemerge la possibilità concreta di “collaborazione intraprendente” nelle filiere produttive…
L’evoluzione del sistema può passare anche da qui.