Il coro di approvazione seguito alla pubblicazione del documento Marco Bentivogli e Carlo Calenda ne è la testimonianza più esplicita.
In Politica, d’altra parte, non esistono vuoti. Se si creano qualcuno li riempie immediatamente. La realtà era chiara da tempo. Forse, le imminenti elezioni, l’hanno resa solo più evidente.
Le divisioni del novecento stanno lasciando spazio a nuove contrapposizioni. Le ricette, tradizionalmente di destra o di sinistra, perdono di significato mentre si affermano nuove divisioni.
Le contraddizioni, pur sempre presenti nella società contemporanea, trovano risposte fuori dai recinti tradizionali a cui la Politica ci aveva abituato.
La sinistra, ovunque nel mondo in crisi di identità, perde consensi perché non riesce a sintonizzarsi con i cambiamenti in atto e quindi rischia di limitarsi a riproporre un improbabile quanto impossibile ritorno al passato.
La destra tende, al contrario, a cavalcare le paure generate dal cambiamento. Nel breve, non c’è storia. Vince chi rassicura. E forse chi promette di più.
Nel medio periodo, al contrario, vincerà chi saprà affrontare e risolvere i problemi. Carlo Calenda e Marco Bentivogli hanno capito benissimo che la partita si gioca sui tempi medi.
“Nel tempo dell’inganno universale dire la verità è un atto rivoluzionario” ci ricorda George Orwell nella fattoria degli animali. Ed è da qui che chi vuole fare “politica 4.0” dovrà ripartire.
Ecco perché non siamo di fronte ad un nuovo (ennesimo) Partito o movimento in fase nascente e destinato a numeri da prefisso telefonico alle prossime elezioni. È il punto di osservazione che cambia.
Sono i problemi e le loro possibili soluzioni che creano le convergenze necessarie e i luoghi dove queste convergenze si possono realizzare.
Carlo Calenda e Marco Bentivogli vengono entrambi da mondi dove la demagogia e la retorica costano care. Il Paese (e non solo) ha, invece, assoluto bisogno di luoghi dove si possano costruire soluzioni pur nella distinzione di missione, ruoli istituzionali o sociali.
Stanno disegnando, consapevolmente, un’evoluzione del modello concertativo dove al centro sta la soluzione concreta del problema sul tappeto e non, come in passato, la paralisi decisionale.
Può essere accumunata con un certo grado di forzatura ad una classica start up pur nel campo tradizionale e scarsamente innovativo della Politica perché si pone comunque l’obiettivo di superare lo stallo e quindi di risolvere un problema prima affrontato diversamente.
Sostituisce al classico sindacale: obiettivo-lotta-risultato, il più moderno: obiettivo-condivisione-risultato. E la condivisione non è data dalla riproposizione infinita del proprio punto di vista, che può restare differente da quello altrui, ma dalla convergenza sull’obiettivo finale che, pur non rappresentando necessariamente il proprio punto di partenza, garantisce ai propri rappresentati un notevole passo in avanti.
È la logica già presente negli accordi sindacali FCA e in altre realtà industriali. Ma è la medesima logica che guida Carlo Calenda nelle vertenze aziendali complesse. La novità sta nel “praticare l’obiettivo” non nell’interpretare un ruolo assegnato.
Tutto questo probabilmente provocherà scompiglio sia nella Politica che nel Sindacato.
Nella Politica dove il coro plaudente sarà presto sostituito da letture più puntute sui personaggi in campo e sulle loro ambizioni.
Ma anche nel Sindacato dove il rischio di modeste gelosie e piccole invidie personali rischieranno di giocare contro una strategia che, al contrario, potrebbe giovare ad un rientro in campo propositivo di tutto il sindacalismo confederale.