Hanno ucciso lo stagiaire…

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C’è un bellissimo proverbio africano che dice:”quando gli elefanti litigano è sempre l’erba ad andarci di mezzo”. Dalla savana al mondo del lavoro il passo è breve. E l’erba, nel mondo aziendale è rappresentata dalla parte più debole: lo stagiaire.

Esistono leggi e convenzioni da sottoscrivere tra l’ente promotore (università, scuole superiori pubbliche e private, CPI, agenzie per l’impiego, centri pubblici di formazione professionale e/o orientamento) e il soggetto ospitante.

Poi c’è la realtà. L’assenza pressoché totale di orientatori che aiutino i giovani a scegliere in modo ragionato la loro strada, professori che ovviano alle lacune del sistema e propongono studenti meritevoli alle imprese con cui hanno rapporti e scuole che cercano di piazzare studenti a destra e a manca senza alcun criterio disinteressandosi di cosa succede dopo. Aziende serie che investono sui giovani e aziende che sfruttano il sistema che non funziona per ottenere lavoro a poco prezzo.

Per quanto mi riguarda lascio le percentuali agli esperti del bicchiere mezzo pieno o mezzo vuoto. Lo stage è un momento importante per un giovane. Non funzionando ancora come dovrebbe l’alternanza scuola lavoro è il momento nel quale avviene un passaggio fondamentale.

Nella testa del ragazzo iniziano a prendere forma progetti sul futuro, una prima idea di autonomia dalla famiglia, la convinzione di potercela fare con le proprie gambe. Non è solo questione di quanto si verrà pagati.

C’è di mezzo l’auto stima, l’entusiasmo e il desiderio di esplorare un mondo nuovo. Soprattutto se lo stage è propedeutico ad una vera assunzione. In buona parte è così. Dovrebbe però essere sempre così. E dovrebbe essere interesse di tutti (scuola, imprese e giovani) che lo sia. Ovviamente non è sempre così.

Per questo è giusto tenere sempre accesi i riflettori. Dario Di Vico insieme a Diana Cavalcoli, sul Corriere, ci provano (  http://bit.ly/2uCrRiu   ) prendendo il problema dal lato dell’indennità per poi allargare il discorso ad altri aspetti. Tanto basta per accendere una discussione sui social su tutto ciò che non funziona con le generalizzazioni inevitabili.

Addirittura c’è chi, nelle organizzazioni di rappresentanza, propone di allungare il periodo di stage per alcune figure che fanno riferimento ai propri settori merceologici e contemporaneamente di ridurlo per altri settori di cui pensa di conoscerne le esigenze formative necessarie.

Quindi stage ancora più lunghi per ingegneri, economisti, laureati in legge e via discorrendo.  Il danno oltre la beffa! Perché è proprio dove sale il livello di istruzione raggiunto che avvengono le scorrettezze maggiori nelle imprese a danno dei giovani.

Nei settori legati ad uno sbocco professionale (turismo, ristorazione, commercio, artigianato) le lamentele sono, da sempre, molto meno forti. Semmai sono legate a situazioni specifiche di aziende poco serie o in alcuni territori in particolare.

Generalmente chi sceglie un mestiere sa che la gavetta è lunga, impegnativa e poco entusiasmante sul piano economico. Spesso, oltre alla scuola pubblica che sul fronte dei mestieri è carente nella preparazione pratica, il giovane accede a corsi a gratuiti o a pagamento organizzati proprio dalle organizzazioni di rappresentanza per assicurare un livello di preparazione almeno sufficiente per mettere a disposizione dei propri associati ragazzi formati.

E spesso è proprio tramite le stesse organizzazioni di rappresentanza che i giovani accedono al lavoro. Ma il problema vero non sta qui. La media di età degli stage in Italia è nettamente superiore al resto d’Europa. Quindi qualcosa non funziona.

In generale io opterei per un sistema che prevede lo stage durante il percorso di studio o come atto finale dei percorsi di alternanza. L’entrata nel mondo del lavoro dovrebbe essere regolata esclusivamente dal contratto di apprendistato, magari con forme diverse da quelle di oggi.

Sul fronte degli stage personalmente condivido l’azione che Eleonora Voltolina sta portando avanti: pubblicizzare le aziende serie, stigmatizzando quelle poco serie. Condivido anche l’idea di Alessandro Nucara di attivare meccanismi di selezione reciproca tra scuola, imprese del territorio e giovani studenti.

Il punto vero è che lo stagiaire non può essere un tappabuchi seriale a poco prezzo per imprese che non sanno organizzarsi. Pur non essendoci alcun automatismo tra stage e futura assunzione le condizioni proposte devono consentire al ragazzo di crescere, sfruttare l’opportunità ricevuta, metterla a frutto per il suo futuro.

Qualcosa però sta cambiando nella consapevolezza dei giovani e delle imprese. I segnali che raccogliamo nei nostri rapporti con il mondo della scuola e delle aziende ci raccontano di una attenzione maggiore che sta crescendo.

È giusto denunciare i furbi e le imprese scorrette. Scherzare con l’entusiasmo, le frustrazioni e l’auto stima dei nostri ragazzi è un errore che non possiamo permetterci.

Però valorizziamo anche chi questo impegno se lo assume fino in fondo sia nella scuola che nel mondo del lavoro.

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