Pensioni, reddito di cittadinanza, precarietà e crisi aziendali. Il nuovo Governo entra in campo sul lavoro non già come arbitro per mediare tra posizioni altrui ma come protagonista. Probabilmente ascolterà i sindacati che saranno costretti ad aggiornare velocemente le loro rivendicazioni così come le organizzazioni di rappresentanza che, in ordine sparso, cercheranno di non vedersi esautorati delle loro materie specifiche e di non vedersi addebitati un costo insostenibile. Ma questo non basta.
I problemi legati al lavoro rischiano di non essere più in carico alle parti sociali. Almeno fino a quando non finirà la fase della propaganda e della mediatizzazione legata alla coerenza o meno al “contratto di governo”. Le macchine organizzative dei corpi sociali sono decisamente ingolfate strette da una diffidenza reciproca derivata dalla concorrenza tra di loro accentuatasi sulla fine del 900 e dal desiderio di smarcarsi in solitaria dall’accusa di non essere in grado di “capire il nuovo e guidare il cambiamento”.
Lo si è visto in modo plastico di fronte al precipitare della crisi istituzionale dove solo a Milano, le organizzazioni di rappresentanza sono riuscite a convergere su un documento di preoccupazione e di difesa delle istituzioni. Meglio di nulla ma stiamo parlando di un documento che, per la sua leggerezza, non verrà certo ricordato nei libri di storia.
Questi quattro temi centrali per il Paese (lavoro, pensioni, reddito e crisi aziendali) potranno trovare una risposta significativa o parziale solo attraverso una classica partita di giro. Questo è chiaro a tutti. Ci vorrà tempo per comprenderlo ma nessuno potrà accusare il Governo di gradualismo anche perché i partiti che lo sostengono avranno identificato un capro espiatorio nell’Europa e in ciò che hanno fatto o non fatto i loro predecessori.
Il sottosegretario Giorgetti fa però bene a ricordare a tutta la sua compagine, come si può passare velocemente dal 40% a numeri insignificanti di questi tempi e quindi, la qualità della narrazione mediatica e il presidio degli organi di informazione saranno fondamentali per narcotizzare dubbi e incertezze. Il clima però è cambiato.
Di Maio, neo ministro del lavoro e dello sviluppo economico parte da un assunto da non sottovalutare. Lo ha detto raggiungendo i suoi nuovi uffici il 2 giugno. Tra imprese e lavoro è venuto il tempo di superare la logica della contrapposizione di interesse e di difesa degli egoismi di parte. Certo per superare quella logica bisogna essere in due.
E le perplessità sono evidenti anche tra gli imprenditori. Ma alcuni segnali in controtendenza sono chiari. A Trento, ad esempio sulla Gig economy le multinazionali del settore evocano un intervento nazionale e contestano l’idea che si possa procedere localmente affossando così l’entusiasmo concertativo prodotto dalla recente intesa di Bologna.
La stessa scelta di Marchionne di annunciare la necessità di procedere spediti verso l’ibrido e l’elettrico per FCA apre ad un confronto sul rilancio dell’industria italiana green tema certo molto vicino alle posizioni del MS5. La spregiudicatezza e la capacità di muoversi con una rapidità nuova in mezzo alla lentezza delle organizzazioni di rappresentanza sarà un altro fattore con cui fare i conti.
Già l’ex ministro Calenda aveva dato prova che un certo piglio decisionista e una interpretazione intelligente del proprio ruolo poteva assicurare maggiori risultati. E’ valso anche per Minniti che non si è certo lasciato trasportare dalle indecisioni e dalle preoccupazioni di una parte del suo schieramento.
Non dobbiamo poi dimenticare che gli imprenditori del nord sono decisamente schierati contro tutto ciò che appesantisce lo Stato e rallenta l’agire quotidiano. E’ indubbio che se non ci fermiamo alle analisi superficiali o alla qualità delle dichiarazioni di alcuni ministri o a strumentalizzarne le posizioni ci troviamo di fronte ad un Ministro dell’economia che si appresta a non impedire l’aumento dell’IVA, ad un’Europa che, temendo il contagio, cercherà di evitare entrate a gamba tesa e ad un sistema sociale ed economico che vuole cambiare direzione di marcia.
Non è tanto se questo Governo lo saprà fare o meno. Il punto è che questo cambiamento è necessario. Indipendentemente dalle forze politiche di opposizione che dovranno necessariamente riposizionarsi per svolgere il loro ruolo, i corpi sociali dovrebbero velocemente riprendersi dal torpore nel quale sembrano essere caduti.
Se lo faranno e soprattutto se lo faranno insieme il nuovo che avanza assegnerà a loro un ruolo importante di equilibrio e di canalizzazione democratica dei loro rappresentati, se non lo faranno chiudendosi nelle rispettive torri d’avorio la crisi che ha colpito la politica continuerà come una talpa a scavare sotto i piedi della rappresentanza sociale ed economica con tutte le conseguenze immaginabili..