Personalmente credo che il 4 marzo abbia innescato un processo di cambiamento di cui stentiamo ancora a conoscerne e valutarne le conseguenze. Presi a pesare le prime mosse e a partecipare al derby intruppati nelle rispettive tifoserie rischiamo di non cogliere alcuni segnali importanti.
Innanzitutto tra i vincitori dove la Lega salviniana ha preso decisamente il sopravvento sul Governo imponendo, pur nel rispetto del contratto di Governo sottoscritto con i 5S, le sue priorità. Una Lega sempre più integrata e in relazione con i differenti movimenti populisti europei. L’obiettivo è chiaro. Inglobare un centro destra italiano in smobilitazione, tenere sulla corda l’Europa e mantenere comunque una distanza dall’alleato pentastellato tale da potersela giocare al momento opportuno.
La Lega sa benissimo di non aver nulla da spartire con i 5S né territorialmente né programmaticamente. E sa che la sua crescita al Sud è essenzialmente di protesta e quindi con dei limiti precisi. L’idea alla base del “contratto di Governo” è che, questa fase, possa consentire di ricostruire un bipolarismo nuovo, diverso da quello tradizionale interpretato dai partiti e dalle culture del 900 lasciando le briciole ai sogni centristi. I 5S, al contrario, sono in una fase di mutazione genetica. Per questo sembrano inconsistenti e più deboli programmaticamente di fronte all’alleato leghista.
Messi nel cassetto, almeno in questa fase, i sogni di Beppe Grillo, spedito in vacanza Alessandro Di Battista e Roberto Fico alla Presidenza della Camera, Luigi Di Maio è all’opera per ricostruire, insieme a Davide Casaleggio, una nuova identità al movimento. Dichiarazioni, proposte, nuovi posizionamenti ed errori di percorso segnalano questo bradisismo politico in corso.
Il passaggio da “movimento a istituzione” sta avvenendo con una rapidità tale nella forma e nei contenuti che forse imbarazza una parte dei militanti ma che risponde ad un elettorato certo e potenziale ben maggiore di quello disposto a seguire un leghismo estremo e anti euro.
Un riposizionamento che abbisogna di una “campagna acquisti” a largo raggio per costruirsi una nuova classe dirigente in grado di arginare l’esuberanza leghista, di dotarsi di una nuova credibilità, non solo nazionale e di realizzare proprio per questo, in tutto o in parte, alcuni obiettivi identitari. Un’operazione complessa pur in assenza di competitor credibili nel vecchio sistema che arrancano alla ricerca di un riposizionamento post renziano e post berlusconiano.
Personalmente credo che, per Di Maio, il modello sia Macron. Né Putin né Varoufakis. Per me è un democristiano 4.0. E non è, nella mia visione, un giudizio negativo. Anzi. E credo che il suo obiettivo sia di tenersi lontano, insieme ai suoi uomini, dall’irruenza salviniana pronto a riposizionarsi autonomamente se, nei prossimi mesi, la situazione economica dovesse precipitare.
Vedremo alle prossime elezioni europee se questa opzione è sul tappeto o meno. Il resto del sistema politico è però al palo e si muove con la lentezza di un bradipo. Pensare che ci sia spazio ancora per un centro destra e un centro sinistra di vecchio conio credo sia una pura perdita di tempo. Personalmente credo che ce ne è ancora per una sinistra sociale non ne vedo uno altrettanto consistente per una sinistra politica tradizionale. Soprattutto fino a quando una generazione che ormai ha detto tutto ciò che poteva dire continua a voler presidiare quello spazio.
E’ forse arrivato il momento di allargare il campo, aprire a nuove idee e generazioni, definire un programma di chiaro stampo europeo e contendere, almeno in una prima fase, l’elettorato che sceglie i 5S, non per protesta ma perché non ne può più del vecchio establishment novecentesco e del suo immobilismo inconcludente.
Soprattutto che interpreti il cambiamento non come sinonimo di paura e di disagio inevitabili che sappia affrontare le disuguaglianze e sostenere chi resta indietro. E’ purtroppo vero che non esiste nel nostro Paese una classe dirigente economica e sociale credibile paragonabile a quella che in Francia ha consentito a Macron di affermarsi però ci sono brillanti individualità, non solo nel vecchio centro sinistra anche in politica che potrebbero convergere su un progetto nuovo di spessore. Alcune recenti prese di posizione sembrano voler andare in questa direzione. Speriamo sia così.
Se il 4 marzo è riuscito, magari involontariamente, ad innescare questo processo di cambiamento ormai non più rinviabile né nella politica ma anche nei corpi sociali probabilmente i libri di storia non ne sottolineeranno solo gli elementi negativi che hanno contribuito al declino del nostro sistema ma ne individueranno le opportunità innescate e messe in circolo che, comunque la si voglia vedere, sono un patrimonio della nostra democrazia e delle nostre istituzioni.