Dopo Embraco tocca purtroppo alla Bekaert. Quasi 30.000 dipendenti e presente in 130 Paesi l’azienda ha confermato l’intenzione di chiudere il sito di Figline e Incisa Valdarno (Firenze) dove si producono rinforzi in acciaio per pneumatici. Questo comporta il licenziamento di 318 dipendenti più l’indotto.
Nell’incontro coi sindacati che si è tenuto al Mise, la delegazione della società ha spiegato che “le perdite degli ultimi anni sono strutturali e irreversibili e hanno portato alla decisione di cessare tutte le attività”.
Bekaert è presente a Slatina in Romania dal 2004 che è uno dei principali centri logistici e industriali della Romania centro e motore dello sviluppo dell’economia della regione. Pirelli era presente, sempre a Slatina, dal 2006 con un’unità di produzione di alta gamma. L’unità produttiva di Slatina fin da allora (secondo gli articoli prodotti in Romania in quegli anni) era stata programmata per diventare la più grande fabbrica al mondo di Pirelli entro il 2017 dopo l’espansione della capacità produttiva a seguito di forti investimento a partire dal 2012.
Nel 2014 Bekaert acquista da Pirelli tutti i siti dedicati alla produzione di “steel cord” allora di proprietà dell’azienda italiana all’80% essendo il restante di proprietà della Continental tedesca. Gli stabilimenti interessati coinvolgevano allora oltre all’Italia e alla Romania, la Turchia, la Cina e il Brasile. Bekaert con un’operazione da 225 milioni di euro diventava così fornitore e partner delle più importanti realtà del settore.
Con Pirelli, in quella circostanza, viene stipulato un accordo, scaduto il 31 dicembre scorso, in cui l’azienda italiana rimane cliente del filo di acciaio prodotto nello stabilimento toscano. L’accordo viene poi rinnovato per altri tre anni, ma solo sul piano commerciale. Molto probabilmente il sovra costo era stato accettato, previsto e concordato solo per i tre anni successivi e ritenuto, già allora, incomprimibile.
Di questo l’azienda sembra che non abbia mai fatto cenno con i sindacati e questa è certamente una grave scorrettezza. Anzi ha continuato a muoversi come se non ci fosse alcun problema. Almeno così pare.
Comprensibile quindi la reazione dei sindacati locali e di categoria, decisamente forte quella del ministro dello Sviluppo Economico e del Lavoro, Luigi Di Maio, che, dopo l’incontro con i rappresentanti dell’azienda, ha affermato di non aver “mai visto un’azienda così arrogante” minacciando però improbabili ritorsioni.
Bekaert non ha ricevuto alcun contributo dal Governo italiano. Semmai ne avrà ricevuti Pirelli nel 2006 da quello rumeno. E basterebbe un semplice viaggio a Slatina per comprendere che il problema non è la semplice differenza sul costo del lavoro ma tutto quello che rende appetibile un investimento in un Paese a fare la differenza. Investimenti che allora nessuno, a cominciare dalla Pirelli, ha pensato di proporre in Italia.
Cercare di spaventare le multinazionali minacciando sanzioni rischia solo di tenerle alla larga dal nostro Paese mentre affrontare i vincoli che rendono il nostro sistema poco attraente per gli investitori potrebbe essere la mossa vincente.
Credo che il Ministro Di Maio dovrebbe concentrarsi su questo più che limitarsi ad una presa di posizione forte sul piano emotivo ma scarsamente produttiva sul piano politico e sociale. E la nuova legge non cambierà la sostanza del problema. Nel caso in questione così come per Embraco il tema non può che essere l’impegno alla reindustrializzazione del sito e le risorse che l’azienda deve mettere a disposizione per contribuire ad una soluzione del problema.
Forse, pur complessa sul piano pratico, potrebbe aiutare la richiesta fatta da Regione Toscana, istituzioni e sindacati alla Pirelli, tesa all’introduzione di un elemento di garanzia per mantenere il sito produttivo almeno fino al termine dell’attuale accordo commerciale. Altri due anni che consentirebbero una gestione più soft delle conseguenze occupazionali anche perché, il richiamo alla Commissione europea per fare chiarezza su eventuali violazioni delle direttive comunitarie da parte della Bekaert, pur doveroso, difficilmente evidenzierà così come nel caso Embraco, elementi oggettivi contestabili.
Quindi la vicenda Bekaert pone ancora una volta quattro questioni ineludibili sul tavolo. Innanzitutto il tema delle infrastrutture e del contesto fiscale, legislativo e di costo che possono rendere più o meno attraente investire in un Paese come il nostro. In secondo luogo come, incentivi e penalizzazioni, possano trovare un equilibrio realistico.
In terzo luogo come inquadrare anche sul piano sindacale e politico vicende di questo tipo almeno nell’area Europea. Infine diventa fondamentale la capacità di attrezzarsi con strumenti efficaci per gestire le ricadute sull’occupazione, sui siti dismessi e sui contraccolpi sul contesto socio economico di riferimento.
Avendo riunito i due ministeri interessati credo che Luigi di Maio abbia la possibilità di inquadrare rischi e opportunità di vicende che possono produrre legittimamente reazioni emotive ma che devono trovare risposte convincenti sul piano economico e sociale evitando iniziative che, seppure con le migliori intenzioni, rischiano solo di produrre penalizzazioni per il nostro Paese.