Interessante confronto, attraverso una interrogazione, tra un parlamentare italiano e il Commissario Europeo sulle delocalizzazioni

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Ogni volta che un’impresa multinazionale o meno decide di delocalizzare le produzioni in altri Paesi (soprattutto nell’Est Europa) i politici nostrani invocano l’intervento dell’Europa. Lo fanno sollecitando Marianne Thyssen Commissario europeo per l’occupazione, gli affari sociali e l’inclusione ad intervenire (ad esempio nei recenti casi Embraco e Bekaert).

Ma questi solleciti e richieste di intervento cosa producono concretamente? Hanno un seguito utile o si esauriscono in una interrogazione senza conseguenze particolari?

Pochi mesi fa, il 15 marzo di quest’anno, la parlamentare europea della Lega Mara Bizzotto ha presentato una interrogazione parlamentare alla commissione europea sul tema delle delocalizzazioni verso l’Europa dell’Est.

E’ interessante leggere sia l’interrogazione che la risposta della commissaria Marianne Thyssen per comprendere le differenti traiettorie di pensiero e quindi le possibili implicazioni politiche.

Sostiene Mara Bizzotto: ”E’ in aumento il numero delle imprese che spostano tutta o parte della loro attività dall’Italia ai Paesi dell’Est Europa, per sfruttare il costo del lavoro nettamente inferiore e gli aiuti che questi paesi offrono alle imprese straniere che delocalizzano nel loro territorio. Sfruttando un mercato comunitario asimmetrico e gli ingenti finanziamenti dell’UE, i paesi dell’Est Europa operano concorrenza sleale nei confronti dei paesi dell’Ovest, costringendo le imprese italiane a chiudere i battenti o a delocalizzare.

Secondo Eurostat, un’ora di lavoro in Bulgaria costava nel 2016 in media alle imprese soli 4,4 euro, un costo sei volte inferiore rispetto al costo di un’ora lavorativa in Italia (27,8 euro). Considerato che la delocalizzazione selvaggia sta provocando in Italia una catastrofe socio-economica, con la scomparsa di settori chiave del «Made in Italy» e drammatici costi sociali per le famiglie italiane; preso atto che a partire dal 2011 ho sollecitato con numerosissime interrogazioni la Commissione ad affrontare l’urgente questione della delocalizzazione, si chiede alla Commissione:

1) Può riferire quali azioni ha attuato dal 2011 per bloccare la pratica sleale della delocalizzazione selvaggia da uno Stato all’altro dell’Unione?

2) Come intende agire per salvaguardare migliaia di posti di lavoro in Italia messi a rischio da un mercato unico che favorisce la delocalizzazione verso paesi a basso costo di manodopera?

Il 3 luglio di quest’anno Marianne Thyssen risponde alla parlamentare italiana:

“La libertà di insediamento è uno dei pilastri del mercato interno. Il mercato interno ha consentito la creazione di una zona di scambio di beni e servizi grande e interconnessa, che conta più di 500 milioni di consumatori e un prodotto interno lordo (PIL) di19 000 miliardi, con benefici significativi per tutti gli attori economici che hanno accesso a tale mercato.

Le stime suggeriscono che senza mercato interno si perderebbe circa il 30 % di tali scambi intra-UE, con notevoli ripercussioni negative sul reddito nazionale. Nel 2013 la Commissione ha introdotto disposizioni specifiche contro la delocalizzazione nella sua normativa in materia di aiuti di Stato a finalità regionale e ha rafforzato ulteriormente tali norme modificando nel 2017 il regolamento generale di esenzione per categoria. La concessione di aiuti di Stato a finalità regionale che implicano una delocalizzazione da altri paesi dello Spazio Economico Europeo è sottoposta all’obbligo di notifica individuale ex ante di tali casi e a controlli molto rigorosi da parte della Commissione.

Gli aiuti a finalità regionale possono essere esentati dalla notifica solo a condizione che il beneficiario si impegni a non effettuare una delocalizzazione fino a due anni dopo il completamento dell’investimento. Dal 2014, tutti coloro che presentano domanda di finanziamento a titolo dei fondi strutturali e d’investimento europei (fondi SIE) devono garantire che il contributo finanziario proveniente dai fondi non determini perdite significative di posti di lavoro in siti esistenti nell’Unione.

Nel caso in cui un’impresa si trasferisca al di fuori dall’area prevista dal programma entro i cinque anni successivi all’ottenimento dei finanziamenti SIE, tale impresa è tenuta a rimborsare i finanziamenti nella loro totalità. Sebbene non abbia il potere di interferire nelle decisioni delle imprese in merito ai piani di riorganizzazione, la Commissione esorta le stesse ad attenersi alle buone pratiche in materia di anticipazione e gestione socialmente responsabile delle ristrutturazioni.”

Che dire.

Capire come la commissione pensa e agisce è fondamentale. Sottovalutarlo o non prenderne atto è inutile. Marianne Thyssen risponde all’interno di un perimetro che comprende 500 milioni di persone, 28 Paesi più alcuni in via di adesione. Le regole a cui tutti ci si dovrebbe attenere, stanno lì. E solo lì possono essere modificate. Difficile pensare che, attraverso il Decreto Dignità si possano proporre regole nuove, incompatibili o in contrasto con quel livello. Il risultato sarebbe peggiore del male che si vorrebbe evitare. E questo serve a poco.

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