In azienda, quando un manager viene “dimesso” viene rilanciato puntualmente il racconto delle famose due lettere da scrivere da parte del subentrante. Così come le aveva preparate in passato, chi lo aveva preceduto. Nella prima, da aprire alle prime difficoltà, c’è scritto di scaricare tutte le colpe sul predecessore. Funziona sempre. Nella seconda, però, c’è scritto solo di scrivere due lettere.. Quel momento capita, prima o poi, a tutti.
Il Ministro Di Maio ha già aperto la prima lettera. Secondo Giuseppe Sabella adesso ha, davanti a sé, solo due opzioni. La più logica, è quella di “costringere” ArcelorMittal a migliorare la proposta fatta a suo tempo al suo predecessore e ai sindacati prendendosi la libertà di continuare ad accusare Carlo Calenda di superficialità o peggio.
La seconda quella di assecondare la volontà dell’elettorato grillino di Taranto che vorrebbe, di fatto, l’acciaieria chiusa. La scelta di riunire oltre sessanta associazioni per ascoltarle, un minuto a testa, è la prova che la decisione, quella vera, non c’è ancora. Nonostante la pressione dei sindacati e il disorientamento di ArcelorMittal. Inoltre i commissari stimano l’esaurimento di cassa a settembre 2018. Lo si legge nella documentazione dei commissari ILVA portata in audizione in Senato.
Siamo dunque agli sgoccioli..
Migliorare la proposta messa in campo, pur in condizioni diverse, da Carlo Calenda è, nei fatti, un risultato possibile. ArcelorMittal non vuole restare con il classico cerino in mano quindi lancia segnali di disponibilità, i sindacati, una volta risolto il problema occupazionale sarebbero comunque soddisfatti del risultato mentre il Ministro potrebbe ascrivere alla sua determinazione i miglioramenti ottenuti anche sul piano ambientale.
Questo scenario, che per certi aspetti può apparire scontato, non tiene conto che, intorno a Taranto così come intorno alle grandi opere, a cominciare dalla TAV, si gioca buona parte della specificità del movimento 5S. Decidere di chiudere l’ILVA, d’altra parte, non è una decisione che si può assumere a cuor leggero. Così come la TAV, anche l’ILVA non può essere circoscritto ad un problema esclusivamente di consenso locale. Tra l’altro tutto da dimostrare..
L’autunno, sotto diversi punti di vista, si presenta denso di incognite per il Governo. I rapporti nella maggioranza, al di là della propaganda, sono abbastanza tesi sulle questioni di fondo.
Salvini non può restare fermo solo sui problemi legati alla sicurezza e alla immigrazione. La Lega è un movimento di destra e su quel sentiero trova la sua ragion d’essere e i voti. Gli stessi sondaggi posizionano ormai la Lega ben al di sopra dei risultati elettorali del 4 marzo. Però Salvini sa benissimo che da solo non va da nessuna parte. O ricuce con gli alleati protagonisti delle elezioni del 4 marzo pur in una posizione di forza o insiste sulla sua corsa solitaria con tutti i rischi che questo comporta.
Il M5S, dal canto suo, pur avendo profonde radici anti sistema ha un elettorato ben più vasto dei suoi militanti duri e puri e, quell’elettorato, vuole sostanzialmente accedere a reddito e consumi che a torto o a ragione ritiene che gli siano stati negati dalla “casta” che ha governato fino a ieri l’altro, dalle generazioni precedenti e dall’Europa.
Per il momento si accontenta di “scalpi dei nemici” e di dichiarazioni roboanti ma presto, quell’elettorato, presenterà il conto. Poi c’è, in arrivo, ciò che pesa ben di più. Le reazioni degli investitori, lo spread, gli interessi geo politici che ci circondano, le imprese e il lavoro, un nord che chiede strumenti per competere e un sud che rivendica, forse per la prima volta, di poter mettere a frutto le proprie potenzialità in alternativa ad una tendenza assistenzialista comunque sempre presente.
Taranto è un banco di prova importante. Lavoro o reddito comunque garantito sono la discriminante sulla quale il Movimento deve scegliere la sua strada. E deve farlo presto. Deriva identitaria o sano realismo politico sono le due scelte vere che Di Maio e i 5S hanno di fronte.
La compagnia indispensabile di Salvini continua a reggere perché, a leggere i sondaggi, il suo elettorato potenziale ha individuato nel PD un nemico comune alla Lega. I comportamenti restano però ambigui. Identificandosi con il cambiamento non considera necessario costruire alleanze né interlocuzioni privilegiate.
Per il momento il vento soffia ancora nelle loro vele.
Il sindacato confederale si è distratto con i voucher, le organizzazioni datoriali protestano blandamente incerte sul da farsi, l’opposizione di sinistra sente di non avere un retroterra sufficiente per proporre mobilitazioni. E’ nelle stesse condizioni di Forza Italia.
L‘ILVA però resta una brutta gatta da pelare. Può essere la palla di neve che provoca la valanga. L’operazione condotta da ArcelorMittal è una cartina di tornasole per chi si appresta ad investire in Italia. Ma anche per lo stesso sindacato metalmeccanico che non ha alcuna intenzione di abdicare al proprio ruolo.
Dietro l’angolo ci sono Alitalia, la TAV, il ruolo della CDP e Fincantieri. Solo per citare alcuni situazioni tutt’altro che chiuse. La superficialità con cui viene condotta la discussione parlamentare sul Decreto Dignità dovrebbe far riflettere sui contraccolpi sociali di determinate scelte politiche. O di non scelte.
E l’opposizione, più che perdere tempo a misurare la coerenza dei 5S sull’art. 18 o sulle promesse impossibili non ancora mantenute che non interessano nessuno, a cinque mesi dalle elezioni dovrebbe mettere in campo la propria idea di cambiamento riannodando i fili con la società civile e quindi con le imprese, le loro associazioni e con il mondo del lavoro.
Questo Governo è forte ma ha i piedi di argilla. Non è un caso che sta cercando di occupare il più rapidamente possibile i gangli vitali del Paese. Ed è disposto a giocate rischiose. Di questo dobbiamo esserne consapevoli.