Siamo in Agosto, opposizione e sindacati, dalle dichiarazioni e dalle proposte sparate un po’ a casaccio sembrano ancora tutti in vacanza.
Nelle liturgie di quasi tutti i corpi intermedi che ne scandiscono la vita organizzativa e mediatica ci sono momenti importanti dove si presentano all’esterno tesi e riflessioni che provano ad alimentare il dibattito politico, economico e sociale.
Il Meeting di Comunione Liberazione è certamente uno di questi. Mai banale o scontato, gli organizzatori cercano sempre di scavare nelle viscere profonde dell’uomo contemporaneo alla ricerca di senso, valori e stimoli positivi per proporre una visione del futuro legato all’importanza della comunità come luogo di crescita, integrazione, incontro con l’altro.
Per questo motivo la sua importanza travalica i confini del movimento stesso, e, al di là della passerella dei partecipanti, più o meno famosi, è importante seguirne i passaggi proposti anche per chi cerca di riflettere sul ruolo dei corpi intermedi più in generale.
Quest’anno, il 4 marzo, ci ha consegnato un’Italia diversa che in qualche modo ha rotto con gli equilibri del passato confermandoci una impostazione non certamente nata quel giorno.
Secondo Giorgio Vittadini, Presidente della Fondazione sulla sussidiarietà: “E’ l’idea dell’uomo solo al comando, tipica della seconda repubblica, che ci ha portato fin qui. Questo è l’esito. Più che l’antipolitica ha vinto una certa politica che non parla più ai corpi intermedi ma all’individuo isolato”.
Per questa ragione è difficile pensare che l’onda lunga si accontenti di individuare nella vecchia politica, di destra e di sinistra, tutto ciò che rappresenta il passato e non proceda, al contrario, a regolare i conti con l’insieme dei corpi intermedi che, pur avendo radici ben più robuste, hanno contratto dalla vecchia politica una pesante lentezza nei movimenti e nelle capacità di rapportarsi con interlocutori giovani e rapidi in grado di promettere soluzioni e ascriverle a se stessi, assumere decisioni e cambiarle in corsa senza alcun problema.
Interlocutori che interpretano con moderna semplicità e contemporaneamente due parti in commedia, di lotta permanente contro il passato e di Governo. Quindi in grado di proporsi e di comunicare in modo diverso con i cittadini elettori a 360 gradi indipendentemente dalla veste nella quale si presentano in un dato momento.
E potendo contare sull’isolamento del singolo sommerso dai suoi problemi e dalla preoccupazione di non riuscire risolverli mai, è più facile proporsi come una sorta di avvocato impegnato al suo fianco che assume però un obbligo di mezzi, mai di risultato.
C‘è il passato, c’è l’Europa, c’è chi ha lucrato nelle fasi precedenti, c’è chi sta meglio e chi sta peggio. Nel “tutti contro tutti” però solo i corpi intermedi ammortizzavano le aspettative e consentivano alla politica di mediare tra legittimi quanto diversi interessi in campo.
Secondo CL, però, i cinque stelle non hanno il fiato sufficiente per vincere la partita. Nel reportage di Dario Di Vico dal meeting (http://bit.ly/2w2Jc24) sempre Giorgio Vittadini, li paragona a quegli scalatori che nel ciclismo prendono la testa della corsa nelle tappe di montagna e, assegna però al mondo dei cattolici popolari il ruolo di passista di coloro cioè, che sanno attendere, pronti a riprendere la testa della corsa al momento giusto.
Personalmente credo che Vittadini possa avere ragione sui 5S non sul fatto che il 4 marzo non sia successo qualcosa che ha cambiato in profondità e definitivamente il contesto politico e sociale del nostro Paese.
Certo non serve inseguirli sul loro terreno come sembra voglia fare parte dell’opposizione politica. Serve avere un’idea moderna di società che sappia guardare oltre gli attuali recinti novecenteschi nei quali alcuni continuano ad essere a proprio agio ma dai quali rischiano di restare escluse le nuove generazioni.
Oltre quei recinti non solo ci sono i futuri modelli di impresa e l’attrezzatura per affrontare le sfide globali nelle quali sono inserite ma c’è una nuova cultura imprenditoriale e del lavoro che fa perno sui territori di insediamento, e, infine un welfare moderno che trova un giusto bilanciamento tra pubblico, privato e strumenti di derivazione contrattuale.
C’è un’idea di partecipazione, di (ri)costruzione di una comunità in cammino che fa della solidarietà, dell’opportunità di base, del merito e dell’apertura verso l’altro il proprio punto caratteristico. Che vede nell’impegno politico un elemento di servizio alla comunità stessa. E che infine sa misurarsi con la complessità della società moderna evitando di alimentare paure perché mette al centro la persona e la sua crescita, nel lavoro e nella società, come elemento distintivo.
Purtroppo siamo ancora ben lontani da quell’obiettivo. Per questo chi oggi si impone sulla scena ha ancora un forte consenso popolare per affrontare le salite che attendono il Paese.
Senza alcuna possibilità di rimonta più che passisti in attesa di riprendere la propria lucida corsa verso il traguardo i corpi intermedi, comunque intesi, sembrano gli italiani in gita della bellissima canzone di Paolo Conte quando racconta:”Sono seduto in cima a un paracarro e sto pensando agli affari miei tra una moto e l’altra c’è un gran silenzio, che descriverti non saprei…”