Temo che quello che è stato un importante negoziato triangolare tra Governo, Arcelor Mittal e Sindacato non riprenderà almeno nelle forme conosciute fino al 4 marzo.
Carlo Calenda, ex Titolare del MISE non era riuscito a convincere una parte del sindacato a chiudere la partita prima delle elezioni. E probabilmente alcune forzature compiute in buona fede scontavano proprio la volontà di accelerare per concludere. Dall’altra parte Luigi di Maio, nuovo titolare del MISE, a mio parere, sta giocando un’altra partita.
Il sindacato, non accettando unitariamente la “sfida” di Calenda è fermo al palo e Arcelor Mittal non può che abbozzare.
Il neo Ministro pensa di poter tirare ancora un po’ la corda perché sulla riapertura dell’ILVA c’è una forte dose di ambiguità nel suo movimento. C’è un pesante costo economico da pagare ma il messaggio, uscito dalla Conferenza stampa, è chiaro: “Arcelor Mittal è in buona fede e nonostante tutto ciò che mi ha lasciato il mio predecessore che meriterebbe l’abbandono del vecchio progetto, devo andare avanti”. “Però lo farò a modo mio”.
Il sindacato al contrario non sembrerebbe esistere per il Ministro come soggetto titolato e di pari dignità in campo. “Continui pure il negoziato con l’azienda” sembra suggerire Luigi Di Maio. Poi vedremo.
In campo ci sono il Governo, Arcelor Mittal, i cittadini di Taranto e i lavoratori. Sullo sfondo ci sono gli elettori M5S. La vicenda ILVA sembra aggiungere un altro tassello al disegno di destrutturazione del vecchio sistema. E’ singolare che la FIOM non l’abbia capito.
I risultati elettorali nello stabilimento di Taranto, le ambiguità di una parte del sindacato, il ruolo da “quinta colonna” della Regione, e le difficoltà delle istituzioni locali, non agevolano una trattativa di alto livello sui contenuti e l’evanescenza dell’opposizione politica non aiuta.
Quello che avrebbe dovuto e potuto essere un negoziato moderno che provava a mettere insieme lavoro, sicurezza, ambiente e prospettive produttive rischia di deragliare in un qualcosa d’altro.
Un déjà vu dove lo Stato si accollerà tutto ciò che l’azienda dichiarerà di dover accettare per chiudere la partita. Di Maio in fondo cosa vuole? Dimostrare che, nonostante lo stato della vicenda che lui ha trovato, e che fosse dipeso da lui avrebbe gestito in tutt’altro modo, una soluzione è stata individuata.
Le colpe ricadranno sul passato confermate dall’ ”autorevole” Presidente della Regione con buona pace del PD che, in questa vicenda ha mostrato tutta la sua fragilità.
Il sindacato, infine, grazie alla forte dose di ambiguità tenuta dalla FIOM rischia di non essere in grado di giocare un ruolo da protagonista ma di trasformarsi in un probabile futuro parafulmine di un intesa nella quale, gli altri soggetti in campo, nessuno escluso, hanno obiettivi che poco c’entrano con il lavoro, la sicurezza e l’ambiente. Non c’è che dire.
Sarebbe un pessimo risultato.