Ha fatto bene Marco Bentivogli leader dei metalmeccanici della CISL a mettere fine alla querelle che lo vede assegnato al ruolo di “Papa straniero” pronto a scendere in campo per guidare la improbabile riscossa del centro sinistra.
Purtroppo la realtà è molto più complessa e il semplice ricorso ad un nuovo leader “prêt-à-porter” è un’illusione destinata a svanire alla prossima prova elettorale. La crisi del PD è una crisi di idee e di strategia. Su questo ha ragione l’attuale segretario Martina, leader e nuovo nome dovrebbero seguire un processo, non precederlo. E oggi idee e strategie manifestano ancora indirizzi diversi in quella micronesia di colonnelli che ne alimentano il dibattito interno.
La traversata nel deserto sarà lunga e faticosa, perché alla crisi del governo giallo verde potrebbe seguire un lungo predomino moderato preannunciato da un elettorato che guarda comunque più verso quella parte. Riportarlo nel campo progressista sarà una sfida che necessità di idee, coerenza nei comportamenti, meno ambiguità e una visione del contesto anche a livello internazionale oggi non percepibile in nessuna forza di centro sinistra italiana o del resto del mondo. Occorrerà pensare a qualcosa di veramente nuovo.
E’ vero che Marco Bentivogli è un leader sindacale anomalo. Una persona credibile e coerente che tende a mettere l’accento sulle soluzioni possibili più che sui problemi. Ma il fatto che voglia continuare ad impegnarsi per cambiare il sindacato è comunque una buona notizia.
E questo potrebbe essere l’elemento distintivo in una realtà, quella dei corpi intermedi, non solo di matrice sindacale, dove tendono a prevalere cooptazioni, cordate, gruppi di potere che non hanno alcuna disponibilità a mettersi in discussione, alimentare nuove energie o favorire ricambi generazionali.
Nel comunicato al corriere ( bit.ly/2N2JMH9 ) chiarisce dubbi ed equivoci. E’ un pò come Valentino Rossi. Quasi dieci anni fa, era la fine di novembre del 2008, girò per l’ultima volta al volante di una Ferrari da F1, sul tracciato del Mugello. “C’era il potenziale per diventare un buon pilota di F1” come lui stesso ammise in quell’ultimo test ma contemporaneamente aveva avuto la certezza che la sua volontà e le sue motivazioni, in quel momento erano altre.
E’ lo stesso, credo, per Marco Bentivogli. Un giorno, in una chiacchierata informale subito dopo il funerale di Pierre Carniti mi ha confidato: ”vedi Mario, Io adoro il sindacato. E’ la mia vita.” Sinceramente l’ho sentito in pochi tra coloro che ho avuto come interlocutori. E quindi il suo impegno e la ragione d’essere della sua organizzazione, la FIM CISL, sarà di continuare a lavorare affinché questa sfida possa essere portata fino in fondo.
Per chi vive la sua esperienza di vita nel sindacato ma più in generale nei diversi corpi intermedi sa che non è una sfida facile. Gelosie, attendismi, abitudini, scorrettezze, opportunismi sono insidie che accompagnano ogni processo di cambiamento.
Nel “Principe” Macchiavelli sottolinea come: “E debbasi considerare come non è cosa più difficile a trattare, né più dubia a riuscire, né più pericolosa a maneggiare, che farsi a capo ad introdurre nuovi ordini. Perché lo introduttore ha per nimici tutti quelli che delli ordini vecchi fanno bene, et ha tepidi defensori tutti quelli che delli ordini nuovi farebbono bene…”. Purtroppo vale per tutti coloro che si pongono, in buona fede, alla testa dei processi di cambiamento.
Quello che è avvenuto il 4 marzo ha scosso le fondamenta della nostra comunità. La obbliga a riflettere su se stessa, sul significato dello stare insieme, sul sentirsi coinvolta o meno da un comune destino, costringendo tutti, noi per primi, a riflettere su ciò che eravamo e su ciò che vorremo essere. Termini come solidarietà tra popoli, territori e generazioni, uguaglianza nelle opportunità, rispetto dell’altro, sostegno a chi resta indietro, ritornano di attualità perché segnano le caratteristiche, la direzione di marcia, il senso di ciò che deve distinguerci. I corpi intermedi possono fare tanto per declinare nel concreto questi valori, per dare un contributo al disorientamento indotto dalle semplificazioni della politica. O ne saranno contaminati e quindi travolti dal medesimo destino.
A Milano si usa l’espressione “svelt cum’è un gat da marmo” riferita alla capacità di comprendere la realtà è di muoversi, o meno, con la rapidità necessaria. Perché di questo si tratta. L’indubbia capacità di mobilitazione, la distribuzione capillare sul territorio, il buon rapporto tra base e vertice e la relazione tutto sommato positiva tra le diverse organizzazioni ne fanno il punto di snodo fondamentale per costruire un terreno comune dal quale rilanciare proposte e strategie utili per il Paese.
Oggi è indispensabile schierarsi “Per” più che “contro” qualcuno o qualcosa. Tra poco la legge di stabilità si trasformerà nell’epicentro dei desideri e delle promesse elettorali con rischi enormi per la tenuta del nostro Paese.
Mario Sechi pochi giorni fa scriveva su LIST:” Populisti e anti-populisti hanno tutti grandi responsabilità, l’imbarbarimento del dibattito pubblico è un cattivo segnale. Nessuno può permettersi di essere “irresponsabile”, sia maggioranza o opposizione. E questo vale anche per i cittadini italiani, non c’è alcuna zona verde, non ci sono aree dove qualcuno può lavarsene le mani. L’arroganza dei rentier, la cecità degli ignoranti, il luogocomunismo delle classi in progress, le stupidaggini degli autarchici, la boria di chi ha un posto al sole, conduce al disastro collettivo”.
La descrizione non poteva essere più precisa. I prossimi mesi saranno decisivi per comprendere dove andremo a finire. Non credo che tifare per il disastro appartenga alla cultura del nostro Paese. Né in chi si riconosce nella maggioranza né di chi si riconosce nell’opposizione. Ma soprattutto questo è un compito anche dei corpi intermedi che se vogliono dare un segnale indirizzo di marcia e di presenza devono partire da qui.
Il “Partito del PIL” (copyright Dario Di Vico) è qualcosa che va al di là dei recinti tradizionali della politica. E’ la capacità di indicare la direzione individuando alcune priorità che dimostrano la volontà di pensare oltre l’interesse di parte avendo chiaro l’interesse generale. E il cuore di quel Partito, dobbiamo rendercene conto tutti, pulsa all’interno delle singole imprese e nei territori.
È lì che sale il grido di allarme che va ascoltato senza cercare di piegarlo alle esigenze di parte.