I prossimi rinnovi dei Contratti nazionali riporteranno al centro del confronto il tema della formazione come diritto soggettivo. Ad oggi i fondi interprofessionali per i lavoratori dipendenti coprono la quasi totalità delle richieste delle imprese pur essendo previsto, ad esempio nel CCNL del terziario un fondo dedicato ai Quadri.
E’ una specificità singolare in rapporto agli altri contratti che potrebbe rappresentare un buon punto di partenza per una riflessione a 360° sulle nuove opportunità della formazione proponibile dalla contrattazione. Il fatto stesso che chi se ne occupa per nome e per conto delle parti sociali preferisca utilizzare un termine generico e lontano dalle logiche contrattuali come “Middle Management” la dice lunga sulla vetustà stessa dei confini imposti dall’articolo 2095 del codice civile.
Dentro questa categoria ormai c’è di tutto. Dal merito, alla professionalità fino all’anzianità di servizio. Una parte, la più alta, è decisamente sotto inquadrata perché probabilmente meriterebbe la dirigenza per ruolo, compiti e funzioni, un’altra, la più bassa arriva a volte a premiare una lunga e onorata carriera aziendale non sempre legata a criteri professionali.
E’ il risultato dell’essersi dovuti concentrare su di un livello contrattuale che è un sotto prodotto del taylorismo novecentesco quindi di una cultura ormai decisamente superata. Questo è uno dei motivi, non l’unico ovviamente, per il quale le imprese hanno dovuto compiere sforzi enormi per adattare l’evoluzione dei loro modelli organizzativi all’inquadramento professionale applicabile rischiando cause legali, malintesi e sovrapposizioni di ruoli, soprattutto nel terziario di mercato.
L’idea che esista un middle management dotato di autonomia, ruolo e responsabilità decisionale situato nel CCNL degli addetti del comparto e concentrabile in un unico livello contrattuale è molto romantica ma poco realistica e contrasta con la polarizzazione in atto nelle aziende. Non solo del settore. Questo emerge dalle indagini meno faziose che dimostrano che oggi, purtroppo, né le imprese né gli stessi protagonisti hanno ben chiara una direzione di marcia che possa reinventare un modello di riconoscimento e di collocazione professionale decisamente post fordista.
Quindi si naviga a vista, azienda per azienda attraverso l’utilizzo massiccio della lingua inglese negli organigrammi e i superminimi individuali per mascherare questa realtà. Nuove responsabilità individuali e nuovi ruoli decisionali ed esecutivi si intersecano e attraversano sempre di più il vecchio inquadramento professionale che risale ormai alla notte dei tempi rimettendo in gioco tutte le tradizionali gerarchie nelle imprese, il loro ruolo e il luogo stesso di lavoro in presenza o a distanza. Ultimo ma non ultimo il loro valore di mercato.
Basti pensare al livello di istruzione, alla responsabilità e alle competenze che occorreranno in ambito di impresa 4.0 per ogni lavoratore coinvolto indipendentemente da quanto possa stabilire un qualsiasi livello contrattuale attuale. Le prerogative richieste e i continui cambiamenti stanno ridisegnando pesi reali, retribuzioni e sistemi di incentivazione.
I rinnovi contrattuali sono alle porte e forse un profondo ripensamento anche dei fondi legati alla formazione e alla necessità che supportino le persone, tutte le persone, nelle transizioni di lavoro imporrebbe una visione nuova che da un lato affronti il diritto soggettivo per l’insieme dei lavoratori dipendenti coperti dal contratto nazionale e, dall’altro integri meglio le opportunità offerte dai fondi interprofessionali.
L‘inquadramento professionale è in crisi e presupporrebbe una volontà e una capacità di manutenzione e di rivisitazione molto forte. E forse occorrerebbe proprio partire dalle obsolete categorie del codice civile che non rappresentano più quello che oggi è il mondo del lavoro. Il merito, il talento, lo sviluppo professionale le traiettorie stesse imposte dal mercato del lavoro ormai entrano in conflitto aperto con la struttura del 900 contrattuale che parla di categorie, declaratorie, inquadramenti, anzianità di servizio, livelli di responsabilità determinando un blocco inamovibile che rischia di non soddisfare più né le imprese né i lavoratori.
Occorrerebbe andare oltre pur sapendo i rischi connessi soprattutto per le imprese. La formazione è uno dei capitoli più importanti. Il concetto di diritto soggettivo presuppone che le esigenze tra azienda e lavoratore vengano condivise ma che mantengano anche un binario parallelo.
Da una parte ciò che serve all’impresa e al lavoratore stesso durante il percorso comune ma, dall’altra, la possibilità per il singolo di guardare più avanti pensando alle sue inevitabili transizioni e alla spendibilità futura delle sue competenze sul mercato del lavoro.
L’idea del secolo scorso che la formazione fosse un fatto privato in capo al singolo fino ai trent’anni, poi un eventuale problema dell’azienda di cui il lavoratore era solo il fruitore obbligato e passivo fino alla pensione non funziona più.
L’impiegabilità è garantita dalla possibilità di prevenire, accompagnare, integrare le proprie esigenze professionali. E questo può essere fatto solo ripensando gli strumenti, innovando il CCNL ricollocandoli nel mondo del lavoro oggi e di domani e non in quello di ieri.
Per questo credo che più che ragionare sulla utilità o meno di mantenere un fondo dedicato ad una specifica categoria dei lavoratori dipendenti alla luce di ciò che sta terremotando l’insieme delle declaratorie di vecchio conio, occorrerebbe ragionare a 360° sperimentando su figure nuove con modalità e forme da definire partendo da ciò che c’è e utilizzando l’esperienza acquisita in questi anni su di una singola categoria su di una popolazione più ampia integrandola, ovviamente, con la “potenza di fuoco” dei fondi interprofessionali.
Solo così ciò che hanno intelligentemente concordato a suo tempo sindacati e imprese, con il rinnovo del CCNL dei metalmeccanici, compierebbe un significativo passo in avanti.
Anziché difendere l’esistente meglio sarebbe lavorare per il futuro cercando di riempire di contenuti e di senso un diritto che non può che essere concretamente soggettivo come quello della formazione.