E’ un interessante interrogativo su cui riflettere quello che ci propone Dario Di Vico (http://bit.ly/2Pj8dBd) sul Corriere di oggi. E’ il primo sciopero della storia che accompagna e sfida il Governo sul suo terreno. O almeno una sua componente importante.
Lo invita a non essere timido, lo incita ad andare sino in fondo. Ne interpreta i sentimenti profondi e ne rivendica le teorie più ardite propugnate dai suoi consulenti. COBAS e CODACONS rappresentano due delle numerose constituency alla base del successo del Movimento.
Sono entrambi un modello di organizzazione sociale di estremizzazione del malcontento collettivo e individuale che ha trovato nel movimento una sponda concreta. E così mentre il CODACONS si è assunto il compito di lanciare campagne che nascono e muoiono nel mondo della comunicazione mordi e fuggi, i COBAS, oggi, rilanciano uno strumento antico e desueto, lo sciopero del venerdì, per ribadire e rilanciare la primogenitura sui contenuti.
Insinuano così una contraddizione profonda tra la Lega e i 5stelle tentando di farne emergere, forse, l’incompatibilità strategica. Pongono l’elettorato grillino davanti al secondo specchio. Dopo l’immigrazione, la TAP, la TAV dove si è trovato lontano dalle proprie posizioni di bandiera, oggi, quando partiranno le sicure reprimende di chi sarà colpito dai disagi o dalle condanne postume dovrà, ancora una volta, decidere se accettare o rifiutare l’immagine riflessa.
Lo sciopero di oggi è una delle tante cartine di tornasole di una mutazione genetica in corso del Movimento che può incagliarsi su qualsiasi punto ribadendo la strategia originaria come continuare pericolosamente fino alla sovrapposizione tra i due elettorati. Con tutti i rischi del caso.
Dario di Vico fa bene a non assimilare quello di oggi agli scioperi del passato. E’ vero ci saranno i soliti disagi, le solite proteste e il caos nelle città. Ma tutto questo non ha mai spostato voti. Oggi più che mai. Sta andando in scena un nuovo spettacolo. Aggiungo che nessuno si è mosso né per contrastarlo né per comprenderne le ragioni.
Se però la forma è vecchia e impopolare non lo sono affatto i contenuti. Velleitari, irrealizzabili e demagogici nella Prima e nella Seconda repubblica, rischiano di essere pericolosamente a portata di mano di questi tempi. Almeno per chi ci crede. E di chiudere a tenaglia il sindacalismo confederale in un limbo propositivo in cui si è ficcato e da cui sarà difficile uscire senza una forte azione di smarcamento unitaria.
“Abolizione del jobs act, reddito garantito proporzionato a una riduzione dell’orario, abolizione della quota 100 e pensionamento automatico a 65 anni o con 35 anni di contributi” sono una semplice estremizzazione dei desiderata dei Movimento 5S, oggi al Governo.
Negli anni 60 e 70 l’azione politica di una parte del sindacalismo confederale e del sindacalismo autonomo che faceva riferimento a personaggi legati alla DC più opportunista hanno contribuito alla creazione di una cultura non certo positiva nel pubblico impiego con i conseguenti effetti pesanti sulla spesa pubblica. Non sarebbe impossibile ripetere lo schema pur in condizioni più difficili.
Nel privato, oggi, tutto questo è ancora impedito da un profondo cambiamento organizzativo e culturale ma anche grazie alla legislazione giuslavoristica vigente. Ad abundantiam non va dimenticato che, ad esempio, sul fronte del lavoro domenicale e festivo, l’interlocuzione del ministro Di Maio e dei suoi consulenti sul fronte sindacale è esclusivamente con i COBAS.
Chiunque conosca un po’ da vicino il mondo dell’estremismo sindacale sa che non ha nulla a che vedere con il vecchio estremismo ideologico. Sono pericolosi non tanto perché scioperano di venerdì. Lo sono perché hanno finalmente un interlocutore politico e possono fare concorrenza al sindacalismo confederale del quale conoscono punti deboli e privilegi organizzativi. Anche per questo il congresso della CGIL sarà molto importante. La risposta innanzitutto dovrebbe venire da lì.
Lo stesso problema sul piano politico dovrebbe far nascere una risposta nuova in tutte quelle forze che si richiamano al riformismo di stampo europeista. La condanna va bene ma non è sufficiente.
Occorre mettere in campo un’idea dell’impresa, del lavoro e del reddito che non venga vissuta come una semplice continuazione di una politica che è fallita nella testa e nel cuore dell’elettorato. Per fare questo è importante una convergenza dell’insieme delle organizzazioni di rappresentanza come ha recentemente segnalato Carlo Bonomi all’assemblea di Assolombarda.
Occorre prendere atto che oggi non dobbiamo sperare in aiuti esterni o augurare guai immediati al nostro Paese per liberarci di un presunto incidente della storia. Siamo dentro una fase di passaggio che ci consegnerà un Paese profondamente diverso da quello al quale eravamo abituati.
Anche lo sciopero dei COBAS nella sua follia ci segnala come la distanza tra le aspettative della maggioranza dell’elettorato su certi temi e le proposte di chi ha a cuore il Paese sono molto distanti. Ciascuno però dovrebbe fare la sua parte per ridurre quelle distanze.