Ha ragione Mario Sechi quando sostiene che il sistema politico sta attraversando una fase di assestamento dagli esiti ancora incerti. Probabilmente occorreranno più appuntamenti elettorali per potersi confermare definitivamente.
Il risultato elettorale del 4 marzo è stato però uno spartiacque fondamentale. Nulla sarà più come prima. Inutile illudersi che sia sufficiente mettere in piedi la replica 4.0 della “gioiosa macchina da guerra” comunque attrezzata. Il cammino sarà lungo.
Troppe esigenze di protagonismi personali non in grado di ricucire il rancore che comunque si è riversato sull’establishment, sul passato e sul centro sinistra individuati come responsabili principali della situazione attuale per la maggioranza dell’elettorato. Idee e facce nuove necessitano però di tempo.
E questo spingerà la parte produttiva del Paese ad incalzare chi, nel Governo, è meno lontano da loro. Molti nella Lega lo hanno già capito e, su certe partite si stanno già riposizionando rendendo problematica la convivenza con i 5s.
La cultura anti industriale dei grillini e le loro proposte pesano e distraggono risorse importanti alla imprese e al lavoro. L’elettorato del nord molto sensibile sta già segnalando una tendenza e Torino rischia di rappresentarla plasticamente. La TAV sarà la cartina di tornasole.
Tutto bene quindi per Salvini? Non credo. La Lega potrebbe avere davanti un’autostrada ma, almeno nelle intenzioni, il nord a lui non basta. E il nord produttivo non può seguirlo all’infinito.
E’ il solito paradosso. Senza il nord la Lega non va da nessuna parte ma solo con il nord non arriva da nessuna parte. E al nord qualcosa si muove in altre direzioni. C’è un Lega di Governo che interpreta bene il desiderio del “fare” presente però anche negli amministratori e nei sindaci del PD e di altri e in molte associazioni professionali.
Punti di riferimento trasversali che interpretano esigenze trasversali riuscendo a portarle a sintesi o a canalizzarne le iniziative. E l’elettore, oggi, sembra chiedere sempre di più alla politica di non limitarsi ad inseguire l’avversario o banalizzarne iniziative e proposte ma di dimostrare concretamente la propria credibilità.
E’ l’efficienza dell’istituzione. La sua forza nell’affrontare e risolvere i problemi e la sua capacità di comunicare e rispondere alle diverse costituency che si propongono a volte su anche su singole questioni che genera consenso più che un modello organizzativo tradizionale. Per questo deve essere a geometria variabile. Non ideologico.
Nella transizione quello che deve scendere in campo è un’idea di comunità che trova la sua ragion d’essere nella individuazione degli interessi concreti. Da qui discende una volontà di condivisione che nell’impresa valorizza i diversi interlocutori perché contribuiscono alle nuove sfide e, nella società, tutti i suoi membri. Nessuno escluso. Almeno nelle intenzioni. Che affronti le disuguaglianze in un contesto di crescita e non di rancore sociale, che interagisca con l’Europa in modo nuovo.
E’ forse il Partito del PIL (copyright Dario Di Vico), della crescita, del merito e della solidarietà l’unico che può competere con quello della decrescita felice. E misurarsi a testa alta con chi ha un’altra idea (opposta ma altrettanto legittima) dell’Europa, delle alleanze necessarie e delle priorità.
Per i 5S il destino appare segnato. Portare a sintesi la vecchia cultura della sinistra sinistra anti impresa che non si riconosce nei nuovi modelli interclassisti con quella pseudo tecnologica della disintermediazione e dell’uno vale uno. Gli “entristi” d’antan della prima repubblica sono già al lavoro.
Il campo di battaglia sarà circoscritto essenzialmente nel sud dove il tessuto sociale è più lacerato e dove manca un disegno politico e sociale vero e dove la Lega non sarà mai credibile fino in fondo. Le risorse economiche servono a tutti e non si moltiplicano come i pani e i pesci…. La stessa querelle sul reddito di cittadinanza nel Governo segnala una contraddizione evidente.
Torino è lì a dimostrare che, oggi, puoi essere un partito di governo e contemporaneamente di opposizione solo se dai risposte. Non solo se dici NO a tutto. Così si condanna una città che, a quel punto, non può che ribellarsi.
Essere stanchi della vecchia guardia che ha gestito la città è una cosa che Torino si è voluta concedere. Bloccare una città mentre sta cercando di cambiare anima e pelle, no.
E non è esagerato paragonare ciò che stava paralizzando la FIAT nel 1980 con l’arresto della TAV e quindi del futuro della città. Da qui l’appello delle oltre 30 associazioni professionali per “lo sviluppo e la crescita di Torino” con a conseguente manifestazione indetta per sabato prossimo.
E infine il PD. Deve scegliere se accodarsi ai 5S e condannarsi definitivamente ad un ruolo marginale o investire i propri talenti mettendosi al servizio di un’operazione più ambiziosa. Certo non è facile per alcuni colonnelli rinunciare a galleggiare nella politica continuando ad azzopparsi a vicenda o tifando per un intervento esterno che non ci sarà.
Ma se dovesse anche esserci non lascerà scampo ad una buona fetta della classe politica attuale. Un’altra generazione deve crescere e affermarsi. Non è solo un problema anagrafico. Serve ascoltare e una rinnovata capacità di posizionarsi un passo avanti con autorevolezza. Quello che fanno, ogni giorno, i migliori amministratori locali. Non perdono tempo né a polemizzare né a inseguire gli avversari politici sul loro terreno. Questo, tra l’altro, può anche soddisfare i propri tifosi ma delude tutti gli altri.