Lavoro festivo e domenicale. Non scherziamo con il fuoco….

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E’ di pochi giorni fa la notizia che BCPartners ha preferito congelare le procedure di vendita dell’azienda Old Wild West (http://bit.ly/2DrAH5j) per la poca chiarezza sul tema delle aperture domenicali. E’ vero. Fino ad oggi si è parlato prevalentemente della GDO e delle conseguenze negative che potrebbero verificarsi.

Non si è parlato abbastanza di chi vive di aperture domenicali. Ad esempio dei bar e dei ristoranti dei centri commerciali, di tutte le attività collaterali e dell’indotto. Decine di migliaia di piccoli imprenditori, artigiani, lavoratori, professionisti che nelle domeniche e nelle festività svolgono una parte importante del loro lavoro.

Per i 5s tutto questo non esiste; esistono solo quelli che loro ritengono lavoratori sfruttati. Ancora una volta la loro attenzione sembra essere sollecitata solo da un punto di vista. Il loro. E’ chiaro che ci sono lavoratori che non vorrebbero lavorare la domenica o nelle festività o che vorrebbero essere pagati di più. Così come è altrettanto chiaro che alcune di queste attività potrebbero essere distribuite nell’arco della settimana.

Ed è evidente che per molti piccoli esercizi distribuiti nei centri cittadini o nelle periferie delle città la presenza della GDO piuttosto che i grandi centri commerciali e outlet costituiscono una concorrenza molto forte.

Ma tutto questo, pur legittimo, non è sufficiente a questo come a qualsiasi Governo per riportare indietro le lancette della storia. Innanzitutto perché il mondo, nel frattempo, è cambiato.

Le liberalizzazioni hanno dato impulso ad una serie di attività collaterali che hanno profondamente trasformato i centri commerciali. Non necessariamente solo luoghi di spesa ma sempre più luoghi di intrattenimento. Io ci vado spesso ma consiglierei chi parla con troppa superficialità di chiusure di andarci più spesso  per capire i possibili danni collaterali. In molti di questi centri l’alimentare è ancillare e non necessariamente protagonista della domenica dei consumatori. Gli stessi lavoratori non sono tutti uguali. Così come gli stessi imprenditori.

A questo punto poi c’è sempre qualcuno che invoca i paragoni con l’Europa, la situazione prima delle liberalizzazioni montiane o la mancanza di incremento dei fatturati delle aziende della GDO. Parole in libertà. Soprattutto perché noi non siamo all’anno zero.

Non dobbiamo decidere per la prima volta se aprire o chiudere durante le festività ma siamo a sette anni da un provvedimento che ha inevitabilmente cambiato il contesto di riferimento. Attività economiche, scelte imprenditoriali, decisioni di investimento, hanno prodotto una nuova realtà con cui vanno fatti i conti.

Le fosche previsioni fatte a tempi delle liberalizzazioni sulle inevitabili chiusure degli esercizi commerciali si sono rilevate sballate. Solo l’1,4% di chiusure durante gli anni della crisi e quindi difficilmente addebitabili solo a quel provvedimento.

Se si vuole uscire dai rischi di un confronto ideologico occorrerebbe partire dai numeri. Oltre il 20% dei lavoratori dipendenti lavora a vario titolo anche la domenica. La quota in carico alla GDO è decisamente minoritaria. Nonostante la crescita dell’Ecommerce il supporto alle dinamiche dei consumi delle aperture  domenicali e festive è stato importante (2% sul nofood e 1% sul food).

La crisi del settore è pesante e male fanno tutti quelli che non ne capiscono la profondità e la portata. Oppure coloro che, paragonando pere con mele, guardano i fatturati lordi e non li segmentano per insegna attività e località né li distribuiscono nell’arco della settimana.

E’ comprensibile che lo facciano i sindacati di categoria che non sanno che pesci prendere su una materia complessa ma che lo faccia chi è al Governo del Paese lo è molto meno.

Venti milioni di consumatori meriterebbero almeno di essere consultati prima di assumere decisioni che potrebbero portare con sé solo gravi conseguenze a cominciare dal l’occupazione. Il sindaco di Milano lo ha detto chiaramente. Nel caso passi un provvedimento oscurantista un referendum popolare sarebbe inevitabile. Il ministro degli interni Matteo Salvini ha fatto intendere che sono possibile soluzioni gestibili che rispettino l’interesse delle imprese coinvolte e dei lavoratori.

Continuo a pensare che le esigenze dei lavoratori andrebbero meglio tutelati attraverso lo strumento della contrattazione. Ho anche scritto, in tempi non sospetti ( http://bit.ly/2Q24b09 )  che i sindacati potrebbero giocare un ruolo ben diverso se entrassero in una logica nuova in grado di fare i conti con le vere dinamiche del settore. Ed è chiaro che lo stesso rinnovo del CCNL passa o meno da questa consapevolezza.

Se non lo faranno, oltre a condannarsi all’irrilevanza, si pregiudicheranno un ruolo di interlocutore vero nei cambiamenti in atto nel comparto come invece stanno facendo altre categorie (ad esempio metalmeccanici, chimici e alimentaristi). Occorre prendere atto che gli stili di vita e i comportamenti di acquisto delle famiglie sono cambiati e che comprendono ormai l’intero arco della giornata e della settimana dove si pianificano sia la gestione del proprio tempo libero che il tempo  dedicato agli acquisti e al divertimento. 

Ma anche che la rete sta modificando  in modo strutturale il nostro approccio al consumo. E spesso lo fa nelle more di regole facilmente aggirabili o inadatte a gestire questi cambiamenti epocali. Ecco, colpire oggi questo settore in modo indiscriminato provocherebbe guai molto più grandi di ciò che si vorrebbe tutelare. Comprenderlo prima che sia troppo tardi mi sembra doveroso. 

 

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