Con una tempestività perlomeno singolare all’articolo di Simone Fana (https://jacobinitalia.it/marco-bentivogli-il-sindacalista-che-piace-alle-imprese/) contro Marco Bentivogli è seguito l’attacco da parte dei Cobas in coda all’incontro con FCA.
Bentivogli è certamente un sindacalista atipico. Dice sempre quello che pensa. Non solo sui giornali o nelle interviste. Lo spiega nelle assemblee davanti ai lavoratori con cui condivide le vertenze. Prima, durante e dopo. Le vive come ogni sindacalista dovrebbe viverle. Con una intensità simile a chi, da quelle vertenze, può vedersi stravolta la vita, i propri progetti per il futuro, la dignità e il senso del proprio lavoro.
Non c’è nulla di ideologico in tutto questo. C’è solo l’amore per il proprio lavoro e la convinzione che si vince o si perde tutti insieme. E la sconfitta non è mai una piacevole compagna di strada. Nel suo pensare e nel suo agire c’è sempre un desiderio di essere utile, propositivo, di individuare una soluzione più che credere nella lotta in sé.
C’è l’aver visto migliaia di striscioni tutti uguali davanti a migliaia di fabbriche e dietro quegli striscioni migliaia di persone. Deluse, incazzate, frustrate. Felici solo quando incontrano una solidarietà vera, finalizzata ad una soluzione. Non alla propaganda.
L’esatto opposto dei Cobas e di tutti quei sindacalisti che scambiano la lotta in sé per il risultato. O che la interpretano come uno strumento per acquisire comunque una coscienza di classe. Marco Bentivogli sa che le sconfitte, al contrario, minano solo la credibilità del sindacalismo. Non fa parte di quei sindacalisti che si sentono “altro” rispetto a chi è coinvolto direttamente e quindi scaricano sul sistema, sull’impresa o sulla politica i loro limiti e rifiutano di esplorare ogni strada possibile alla ricerca di soluzioni utili e positive.
Marco Bentivogli non è vero che piace alle imprese. Queste ultime spesso preferiscono i sindacalisti duri a parole ma che, alla fine, lasciano fare. Che si ritraggono indignati di fronte alla unilateralità di alcune scelte. Soprattutto oggi. Non amano chi non si alza dal tavolo. Chi pretende di finalizzare ogni negoziato ad una soluzione.
Simone Fana non può capire tutto questo. Non sa cos’è un negoziato. Ne è interessato a capirlo. Per lui il negoziato FCA che FIM e UILM hanno portato fino alle estreme conseguenze è stato un errore. Ha portato al salvataggio di un sito produttivo? Per lui sarebbe stato forse meglio chiuderlo. E metterci davanti uno striscione grande e rosso per qualche mese.
Non si domanda perché la FIOM sta cercando di rientrare in quel negoziato a tutti i costi. O perché Maurizio Landini vorrebbe riprendere con questo “sindacalista che piace alle imprese” o altri come lui un nuovo percorso unitario. Non è questo il suo scopo.
Gli basta fare una caricatura feroce molto simile a quella che negli anni 70 i brigatisti facevano del “delatore” Guido Rossa. O assomigliare a coloro che inneggiavano a chi tirava i bulloni in piazza Duomo a Milano contro i sindacalisti riformisti. Nella squallida follia estremista in sé concretamente pericolosa visto quello che è successo a Torino una cosa Simone Fana l’ha scritta correttamente.
“Marco Bentivogli incarna il profilo del sindacalista “moderno”, interprete di una cultura dell’integrazione degli interessi dei lavoratori con quelli dell’impresa. Adattamento e cooperazione sono le due parole d’ordine che ispirano la strategia sindacale del segretario generale della Fim (Federazione Italiana Metalmeccanici) Cisl. Parole che servono a tracciare un confine netto tra i sindacati “moderni” attenti allo sviluppo del paese e i sindacati “antagonisti” affezionati alla cultura del conflitto sociale e quindi estranei all’interesse generale.”
Magari fosse così.
Ce ne sarebbe bisogno per riformare e rilanciare le relazioni industriali italiane. C’è purtroppo ancora chi insegue i fantasmi del conflitto sociale come Simone Fana.
Fortunatamente i lavoratori oggi come ieri sanno mettere ai margini del movimento sindacale (unitariamente inteso) chi vorrebbe riproporre un passato ambiguo e terribile che ha causato, quello si, un arretramento della democrazia.
Se oggi facciamo fatica a parlare di democrazia economica e di partecipazione dei lavoratori alla vita dell’impresa lo dobbiamo anche a quei personaggi. E’ da loro che occorre prendere le distanze. Altrimenti non ci sarà alcun futuro per il sindacalismo confederale.