Populismi, ansie e tavoli…

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Il   cosiddetto “popolo del SI” sta dando senso e nuovi confini al Partito del PIL. E questa è indubbiamente la vera novità nel panorama politico e sociale italiano. La stessa reazione sorpresa dei due leader vincitori delle ultime elezioni  per l’entità e la qualità della protesta è stata improntata alla massima cautela e ascolto delle ragioni niente affatto strumentali.

Il giudizio forse frettoloso di alcuni osservatori sul rapporto tra ragione e consenso mi ha fatto venire in mente una analoga battuta di Stalin che, in tutt’altro contesto, esclamava:”“Il Papa! E quante divisioni ha?”. È vero. Si può supporre di avere ragione senza avere il corrispondente peso elettorale. Così come è altrettanto vero che molti piccoli imprenditori, professionisti, lavoratori autonomi e dipendenti, hanno riposto la loro fiducia ai partiti, oggi al Governo, solo pochi mesi fa.

Probabilmente il desiderio di cambiare, di voltare pagina, di chiudere con il passato hanno prevalso rispetto ad ogni altra riflessione. Ma entrambi i vincitori, con il patto sottoscritto all’inizio della legislatura, hanno dimostrato una fragilità politica evidente proprio nel rapporto con le rispettive costituency.

Dall’ILVA di Taranto fino alla TAV Torino Lione la cruda realtà della nostra economia si è incaricata di far emergere sia il dilettantismo dei 5S che la difficoltà, per la Lega salviniana, di reggere un rapporto con gli stessi, di realizzare i propri obiettivi di espansione verso sud e contemporaneamente di continuare a rappresentare quel ruolo di “sindacato di territorio” alla base delle fortune politiche del movimento leghista.

La reazione degli imprenditori e del mondo del lavoro autonomo è stata forte e ha trovato nelle rispettive organizzazioni di rappresentanza una sponda importante. Nessuno è stato colto di sorpresa. Vedere dodici associazioni in perenne competizione convergere su un programma minimo quanto chiaro ha allargato il cuore per chi chi crede importante e insostituibile  il ruolo dei corpi intermedi.

Nessuna fuga in avanti, nessun gilet giallo, nessuna protesta fuori misura. Solo un composto grido di allarme che non poteva e non può essere sottovalutato. Dario di Vico lo ha ripreso recentemente (http://bit.ly/2QKTBeD) forte della sua analisi su un Nord che non ha nessuna vocazione a piangersi addosso né vuole una politica che non mantiene le sue promesse principali (meno tasse e meno burocrazia) ma rallenta o inibisce la crescita economica e sociale.

La leadership di Salvini non è al momento messa in discussione da nessuno ma il segnale è forte e chiaro. E così mentre quest’ultimo tenta un recupero nel merito dei problemi sollevati, Di Maio è costretto a reinventare tavoli di ascolto di vecchio conio solo con l’intento di prendere tempo. Ma il tempo, purtroppo, è scaduto.

I contenuti della legge di stabilità al vaglio del confronto con le istituzioni europee segnalano questa evidente difficoltà. La novità, comunque la si voglia interpretare, è che un Governo votato alla disintermediazione ha bisogno dei corpi intermedi per non compromettere il rapporto con la propria base sociale.

E, contemporaneamente, le rispettive basi attraverso le loro rappresentanze mantengono un canale di collegamento con la Politica che altrimenti rischierebbe di compromettersi. L’assenza in campo di un’opposizione politica e sindacale significativa propone quindi uno scenario inedito.

Il nord, d’altra parte, sembra aver chiuso con i 5S. La sequenza di errori compiuti non sembra ammettere possibilità di rilancio. Siamo di fronte ad un movimento che non ha una classe dirigente e quindi propone politiche contraddittorie e confuse. Lo stesso Salvini lo ha capito e sta probabilmente finendo di “succhiare” la ruota ai grillini pronto a far riprendere al suo partito la leadership di un centrodestra diverso. Più potabile e meno estremista perché si deve riproporre in un contesto più ampio.

L’opposizione politica non è, al momento, pervenuta. Anche perché la distanza con la stragrande maggioranza dell’elettorato resta notevole e non saranno le elezioni Europee a colmare questa voragine. Intorno a questo variegato fronte del “SI” si stanno però creando le condizioni che propongono un modello nuovo di intermediazione e dialogo tra comparti economici, soggetti a monte e a valle delle filiere economiche, istituzioni locali, organizzazioni di rappresentanza del lavoro e dell’impresa che difendono un modello di crescita e di sviluppo che non dimentica chi resta indietro e intende affrontare in modo nuovo le disuguaglianze . Lontana dalla retorica politica tradizionale e dalle promesse impossibili cerca comunque di ricostruire un senso di comunità possibile. E questo in un Europa diversa, integrata socialmente oltre che economicamente.

Se c’è ancora una possibilità che il Paese non si frantumi tra generazioni, disuguaglianze sociali  e territori che rischiano di interrompere i tradizionali canali di comunicazione tra di loro sarà solo se e quando le forze del lavoro e dell’impresa decideranno  di nuovo  di  riconoscersi all’interno di  un cammino di responsabilità  comune.

La transizione che stiamo vivendo tra un vecchio sistema economico, politico e sociale che non regge più e il nuovo paradigma non può che causare contraddizioni e paure. Chi le ha sapute interpretare meglio in Italia e nel mondo ha segnato un indubbio vantaggio per le proprie tesi.

Adesso tocca (almeno lo spero) ad altri soggetti sociali e politici scendere in campo con le loro proposte. Servirà del tempo. Per il momento l’equilibrio e il buon senso dimostrato da questo fronte del SI variegato e costruttivo è un buon segno. Sta alla politica interpretarlo correttamente. 

 

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