Nella mia recensione nel luglio 2017 al libro “Abbiamo rovinato l’Italia?” avevo scritto:” Marco Bentivogli descrive una figura di sindacalista che non vive chiuso nelle proprie certezze non rendendosi conto della progressiva emarginazione di cui è vittima nelle imprese ma cerca di uscire dall’angolo proponendosi come soggetto responsabile e positivo in grado di costruire con gli altri e, perché no, attraverso gli altri spazi e risultati negoziali altrimenti impensabili.”
Mi è ritornato in mente oggi leggendo della sua partecipazione al gruppo di lavoro del MISE che avrà il compito di elaborare “la strategia nazionale sull’intelligenza artificiale e la strategia in materia di tecnologie basate sui registri condivisi e blockchain”.
Al di là del giudizio politico che ciascuno di noi può avere sul Governo giallo verde, le trenta persone chiamate dal Luigi Di Maio a comporre quella commissione discuteranno di futuro. E ne discuteranno in una sede autorevole che comunque contribuirà a determinare le scelte del nostro Paese in questi campi.
Esserci è importante. Sopratutto per il sindacato che, altrimenti, si troverebbe inevitabilmente a gestire le conseguenze di quelle determinazioni. Il sindacato, tutto il sindacato, della decisione di Marco Bentivogli dovrebbe averne unitariamente un giudizio positivo.
Lo stesso Vincenzo Colla, in una recente intervista, ha rivendicato un ruolo attivo del sindacato nella fase di costruzione delle decisioni per evitare proprio il rischio di subirle. Purtroppo assumersi responsabilità personali e quindi metterci la faccia non è facile in un Paese come il nostro.
Ha cominciato Matteo Pucciarelli oggi su Repubblica ad insinuare una sorta di “intelligenza con il nemico” da parte di Marco Bentivogli. Già il titolo è sintomatico: “Il sindacalista vicino a Calenda”. 210.000 iscritti e 7000 delegati confermato alla guida della FIM CISL con il 97% dei voti nel 2017 non sono sufficienti per rendere il segretario dei metalmeccanici assoluto protagonista della vita politica e sindacale italiana ben oltre l’aver condiviso un documento con Carlo Calenda.
L’idea forse è di colpire “due piccioni con una fava” sacrificando un’esigenza fondamentale per chi si occupa di lavoro e della sua tutela con le beghe interne alla sinistra politica italiana. A mio parere solo un analista superficiale e con una scarsa conoscenza di ciò che sta succedendo nelle imprese non coglie l’esigenza per il sindacato di essere presente, da protagonista, in quel contesto. E soprattutto di esserci con competenza.
E non credo proprio che Marco Bentivogli si sottragga, come non lo ha fatto fino ad oggi, dall’esprimere critiche sulle decisioni ritenute sbagliate prese da questo Governo. Ma al di là della persona, delle sue qualità umane e professionali, la domanda da porci riguarda tutti i corpi intermedi. La loro capacità di “capire il nuovo e guidare il cambiamento” come suggeriva un vecchio slogan della CISL.
Come ha sostenuto recentemente Dario Di Vico:”Sono le trasformazioni strutturali dell’economia italiana nel dopo Grande Crisi che ancora non sono state focalizzate con la necessaria attenzione.” Questo è il punto. Il ritardo non è solo nel sindacato. Governare i processi che hanno impatto sulle imprese e quindi sul lavoro è fondamentale. Così come è importante esserci dove si assumono le decisioni.
Il sindacato non può limitarsi al lamento o alla predica continui. Addirittura oggi rischia di servire poco anche avere delle proposte se queste non incidono nella realtà e nella vita delle imprese e del lavoro.
A gennaio il sindacato confederale promuoverà una grande manifestazione. E’ un segnale importante. Così come sono state importanti le manifestazioni che, nel nord, hanno segnalato un disagio profondo. Il “Partito del PIL” questo deve fare. Lanciare segnali forti alla politica. Condizionarne le scelte. Esserci e, in questo modo, disarticolarne le convergenze interne quando sono un pericolo per il futuro del Paese.
I corpi intermedi, fortunatamente, non hanno progetti politici nel cassetto. Hanno però la possibilità di far sentire la voce di milioni di persone. Soprattutto a chi pensa di rappresentarle individualmente a prescindere.
Verrà anche il tempo del cambiamento ma costringersi in panchina per far piacere ad una compagnia di giro di dubbia autorevolezza mentre il mondo corre è molto pericoloso. Soprattutto quando queste decisioni impattano sul futuro del lavoro, delle imprese e quindi dell’intero Paese.