Carmelo Barbagallo, Maurizio Landini e Annamaria Furlan hanno rilanciato il tema. L’unità sindacale sembrerebbe ritornare di prepotenza nell’agenda del sindacalismo confederale. Per certi versi è una mossa utile.
Lega e 5s non sembrano intenzionate a lasciare spazi di iniziativa a nessun altro sui temi del lavoro e del reddito. Il 9 febbraio ci sarà una manifestazione nazionale unitaria ed è interesse di tutti, non solo del sindacato, che quella giornata, di protesta ma anche di proposta segni un punto di svolta almeno simile a quello che il “partito del PIL” ha saputo mettere in campo in tutto il nord produttivo. Sarà una sorta di indicatore dell’autorevolezza e della capacità di mobilitazione.
Chi, come il sottoscritto, auspica una maggiore unità anche tra le associazioni datoriali, proprio per la fine delle ragioni storiche che nel 900 ne hanno determinato i confini “politici” o di appartenenza per attività economica, non può che auspicare un analogo destino per il sindacalismo confederale. Le mie perplessità nascono dal fatto che tutto questo, però, dovrebbe far parte di un percorso coerente nel quale intenzioni, strategia e comportamenti procedono insieme e anticipano le dichiarazioni pubbliche.
Maurizio Landini ha parlato di unità sindacale come orizzonte possibile ma i sostenitori di Vincenzo Colla erano e sono coloro i quali praticano da sempre un tasso di unità di azione più alto con le rispettive categorie di CISL e UIL.
Certo, il nuovo segretario generale della CGIL può cambiare strategia e impostazione rispetto alla cultura egemonica della FIOM ma, per buona parte dei suoi sostenitori, l’unità dovrebbe avere nella CGIL il suo perno principale e penso che in quelle realtà lo stesso valga per CISL e UIL.
Nella relazione introduttiva di Susanna Camusso il riferimento alla contrattazione di categoria (nazionale, territoriale e aziendale) unico strumento che consentirebbe una ripartenza dal basso dell’unità sindacale non ha avuto il rilievo che avrebbe meritato.
Così come nel suo intervento Landini ha ripreso il tema dell’unità inserendola in un ragionamento essenzialmente politico. Che non è, a mio modesto parere, il modo migliore per iniziare a parlarne. La stessa reazione di Furlan a sostegno di Landini e di Camusso è tutta politica.
“Partire dal basso” significa al contrario partire, ad esempio, dal contratto di metalmeccanici che più del “patto della fabbrica” o di altri accordi interconfederali ha tentato una svolta concreta. Quindi anche dalle intuizioni di Marco Bentivogli (insieme a FIOM e UILM) che, al contrario, sembra non godere, nell’insieme del sindacato confederale dello stesso spazio di proposta. Personalmente lo trovo incomprensibile.
Nemo propheta acceptus est in patria sua…
Eppure l’iniziativa che ha visto recentemente la FIM protagonista a Milano (Smart Union 4 better future) è di grande valore innanzitutto perché tra l’altro contribuisce a ricucire il rapporto con un mondo esterno non di parte (professionisti, intellettuali, mondo dell’informazione) che da tempo avevano lasciato in grande solitudine il sindacato. Con tutte le conseguenze del caso.
E poi lo ha fatto rilanciando il merito dei problemi del cambiamento, dell’innovazione e del ruolo del sindacato, unici argomenti sul quale l’unità sindacale può essere ricostruita dal basso all’interno di una intransigenza etico-sociale di notevole spessore.
Grande idealità, forte indipendenza dalla politica senza esserne indifferenti e competenze professionali in grado di tutelare i lavoratori sia sul piano collettivo che individuale in un nuovo contesto collaborativo/partecipativo.
L’unità sindacale, quella che verrà (se verrà), non può essere certo la sommatoria dell’esistente.
Le leadership del sindacato confederale italiano escono indubbiamente da una stagione di basso profilo, inutile nasconderlo. E’ innegabile però che il contesto politico, sociale ed economico attuale con cui si sarebbero dovuti misurare gli illustri predecessori evocati non sempre a proposito avrebbe fatto tremare i polsi a chiunque. I paragoni sono sempre ingenerosi per i contemporanei.
La stagione della scommessa sulle rispettive identità ha rafforzato la concorrenza tra sigle ma ha indubbiamente indebolito la qualità nella selezione dei gruppi dirigenti. Purtroppo è sempre così quando la fedeltà nelle organizzazioni fa premio sulla lealtà, sulla professionalità e sull’impegno.
Le mie perplessità sulla possibile continuità dei buoni propositi nascono proprio da qui; dalla consapevolezza che la rinascita di un forte sindacato unitario è sicuramente fondamentale per il Paese ma i nuovi contenuti, la qualità, la trasparenza e la capacità di saper guardare oltre i modesti orizzonti di parte dovrebbero essere la base su cui costruire quella credibilità necessaria indispensabile per voltare pagina. E questo vale per tutti.