Chiusure domenicali, aumento dell’IVA e rischi per le imprese e l’occupazione.

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I soliti ben informati invitano al cautela. Ci sarebbero ancora spazi di miglioramento del decreto legge sulle aperture/chiusure domenicali. La tecnica utilizzata, però,  è sempre quella. Lanciare il sasso e nascondere la mano.

L’importante è che le rispettive costituency percepiscano il segnale,  lo sforzo fatto e i comportamenti dei diversi soggetti in campo. Il punto vero, però, non è la possibile mediazione finale. Qualunque sia il risultato. E’ la folle pretesa di mettere mano ad una situazione non calcolando le inevitabili conseguenze.

E’ stato così con l’eco tassa che sta rischiando di costringere FCA a modificare il suo piano industriale appena presentato ai sindacati, è così sull’IVA, è così sul Decreto Dignità e via discorrendo. Dario Di Vico sottolinea sul Corriere ( http://bit.ly/2RwdNx9 ) la pericolosa illusione sull’improbabile incremento dei consumi in chiave antirecessiva grazie al “reddito di cittadinanza” e a “quota 100”.

Aggiunge che “Il giudizio degli addetti ai lavori è che a palazzo Chigi si rendono conto di non sapere adoperare il cacciavite. Fuor di metafora, di non avere le capacità tecnico-amministrative per mettere in sinergia il superamento del Patto di stabilità interno, il codice appalti, il sistema delle autorizzazioni, il public procurement.”

In questo contesto recessivo il provvedimento che verrà sottoposto al voto in commissione attività produttive rappresenta un atto assolutamente coerente compiuto da chi non si rende conto delle inevitabili conseguenze.

La GDO, da parte sua, sta attraversando un momento molto delicato. Qualcuno dovrebbe rendersene conto. Molte sfide sono interne al sistema; ad esempio i discount, gli specializzati, i mercati ambulanti, i formati, gli investimenti tecnologici.

Altri competitor sono destinati a minarne la competitività e a comprometterne le strategie. Difficile pensare che nel breve medio  nuovi modelli organizzativi, la tecnologia o l’innovazione possano invertirne la rotta.

Amazon, oltre a rafforzare la sua marca privata continua ad esplorare strade nuove con numerose acquisizioni. Dopo Whole Foods nel food, Blink e Ring nella Smart Home, nel 2018 è entrata nel business delle farmacie.

Nei discount, ad esempio Aldi, in un anno ha già aperto 50 punti vendita nel nostro Paese dopo averlo studiato per anni. Assunzioni tutte a tempo indeterminato, 15% di referenze riservate ai marchi più noti l’85% studiate specificatamente per il consumatore italiano. Un’innovazione che spiazzerà inevitabilmente il settore. Come è stato a suo tempo per Lidl.

La necessaria risposta dell’insieme del comparto ha compresso ulteriormente  i margini delle imprese. Oggi si stima che i prodotti in promozione superano il 30% nelle spese delle famiglie con un risparmio di circa 6 miliardi di euro per i consumatori.

La marca del distributore, in alcuni casi più importante   della marca industriale, sostiene, tra l’altro le PMI sia in termini di produzione ma anche di lavoro. Parliamo di un giro di affari in crescita di oltre 10 miliardi. Inoltre non serve sottolineare che buona parte del PIL del Paese (circa l’80%) è riconducibile ai consumi interni. Con i rischi evidenti che la cambiale firmata dal Governo sull’IVA può produrre nei prossimi anni.

Se a questo aggiungiamo che, secondo l’ISTAT, la Distribuzione Moderna è il 4 settore per crescita di nuovi posti di lavoro con oltre 20.000 occupati in più ci si può rendere conto che  un intervento maldestro sul lavoro domenicale fatto nel momento sbagliato provocherà solo problemi ben maggiori rispetto ai benefici promessi. Nelle grandi superfici, nei centri commerciali, negli outlet e, di conseguenza per i consumatori e per gli addetti. Senza dimenticare l’indotto e i piccoli operatori che in quei contesti hanno fatto investimenti importanti. 

Rischiare tutto questo per la prossima campagna elettorale è una follia.Tra l’altro la recente firma del CCNL della Grande Distribuzione potrebbe rappresentare un punto di contatto per iniziative comuni.

Certo, a differenza di altre categorie dove il sindacato si è posto il problema della transizione, ad esempio tra esigenze ambientali e esigenze produttive, nel terziario il sindacato resta debole e confuso. E con posizioni autolesioniste sul tema del lavoro domenicale. Posizioni che tutelano i lavoratori a tempo indeterminato ma penalizzano gli altri. Che sono decine di migliaia.

Purtroppo anche le imprese hanno la loro responsabilità nell’aver sempre  ritenuto inutile un confronto serio e documentato sul tema della qualità e della quantità del lavoro, delle retribuzioni e dei rischi di contraccolpi occupazionali. Infine spostare il confronto a livello regionale provocherà situazioni di disomogeneità e quindi di grande incertezza.

Le imprese chiedono regole chiare, uguali per tutti. Il lavoro domenicale è una necessità per tenere insieme le esigenze dei consumatori, i fatturati, l’occupazione e il reddito, i margini delle imprese. Con i recenti dati sul PIL le preoccupazioni di chi deve continuare ad investire non possono che aumentare. Difficile comprendere la ratio di una decisione di questo genere, oggi.

Purtroppo non sono bastate 40 audizioni per evitare di affrontare il problema in termini ideologici. Temo infine che anche le associazioni datoriali non abbiano compreso la necessità di un lavoro  e di una sintesi comune preferendo magari intestarsi in tutto o in parte il merito della mediazione finale. Nella prima repubblica funzionava così. Purtroppo è passato un secolo….  

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