La manovra a tenaglia in corso è evidente. Dopo il reddito di cittadinanza e quota 100 adesso tocca al salario minimo. E’ una scelta precisa soprattutto dei 5S di competere in prima persona sul terreno dei sindacati e più in generale della rappresentanza.
Contemporaneamente Il vicepremier e ministro del Lavoro e dello Sviluppo economico Luigi Di Maio li ha convocati per un incontro mercoledì 13 marzo. Oggi Dario Di Vico sul Corriere (http://bit.ly/2F8Zqfn) accenna ad un cambio di passo dal basso degli imprenditori preoccupati della situazione e della mancanza di risposte credibili.
La rappresentanza è ad un bivio. Restare a guardare significherebbe condannare queste iniziative dal basso alla sconfitta. Con tutte le conseguenze del caso.
La parte più tradizionale e legata a modelli del 900 pensa che le dinamiche sociali e politiche pur terremotate da approcci spericolati tendono sempre a ritrovare, prima o poi, un loro equilibrio sul quale innescare il proprio approccio.
Dall’altra chi pensa che indietro, ai “minuetti” del passato non si tornerà più. Il processo di disintermediazione, piaccia o meno, è insito nel cambio di paradigma in corso ed è destinato a proseguire modificando strutturalmente il rapporto tra rappresentanza sociale e politica.
Dall’alto perché le scarse risorse che posso essere messe in moto vengono sempre più giocate dalla politica in prima persona sul terreno del consenso e guardando quasi esclusivamente il breve periodo. Dal basso perché le persone cercano risposte “qui e ora” a quelli che vivono come i loro problemi. La capacità di fare sintesi sarà sempre più complessa.
Fino ad ora ha funzionato una sorta di “adesione disgiunta” che ha permesso la convivenza tra scelte sindacali e politiche seppure di segno diverso. Oggi il meccanismo rischia di andare in crisi perché la politica ha deciso di entrare in diretta concorrenza con la rappresentanza tentando addirittura di marginalizzare o banalizzare quest’ultima.
Le reazioni non si sono fatte attendere. La grande manifestazione del febbraio ha rimesso in gioco il sindacato confederale mentre Confindustria sembra aver ripreso saldamente in mano la protesta degli imprenditori grandi e piccoli contro il Governo. Soprattutto contro una parte specifica. Confcommercio, purtroppo, resta ancora fuori gioco per le note vicende che la attraversano.
E’ chiaro che non saranno indifferenti gli accadimenti dei prossimi mesi. Le elezioni Europee incombono e i 5S stanno serrando le fila mettendo la “mordacchia” all’ala movimentista. Basterà? Se la rappresentanza saprà ritrovare un punto di incontro forte su pochi temi in grado di incalzare il Governo ritroverà una sua ragion d’essere, pur in un contesto di necessaria innovazione, nell’approccio con la politica.
Se così non sarà il declino di questo modello, che così com’è ha fatto il suo tempo, sarà inarrestabile aprendo campo inevitabilmente alla necessità di nuove forme di rappresentanza sociale. D’altra parte il modello che abbiamo conosciuto fino ad oggi è in crisi soprattutto per la difficoltà di lettura del contesto e del necessario adeguamento alla realtà mutata.
Il rischio che abbia ragione Michele Tiraboschi è molto alto quando, commentando un tweet di Francesco Rivolta, ha sottolineato una verità purtroppo scomoda: “La rappresentanza ha smesso di essere luogo di condivisione. È solo spazio da occupare”.
Su questo non è da meno Marco Bentivogli, quando, parlando della politica più in generale ma centrando il tema ha sostenuto che “Servirebbe una politica che non chiede conformismo e fedeltà, per nessun motivo. Bisogna ritornare al gusto e alla passione di discutere”. Vale per la politica ma, soprattutto vale per la rappresentanza.
“Conformismo e fedeltà” hanno determinato strutture chiuse all’esterno, autoreferenziali, burocratiche e lente nel loro agire. Non è un caso che i giovani se ne siano accorti immediatamente non facendosi coinvolgere più di tanto. Adesso sarebbe indispensabile uno scatto in avanti.
Non basta lamentarsi dell’avversario che non si lascia colpire come lo spadaccino delle commedie di Georges Feydeau occorre comprendere che la musica è cambiata e la cosiddetta “area di comfort organizzativo” va abbandonata affrontando il campo aperto con idee nuove e proposte unitarie. Altrimenti vincerà la disintermediazione. Quella vera. E questo non sarebbe un bene per la nostra democrazia.