Per la mia generazione è stato comunque importante crederci. L’unità sindacale non è mai stata concretamente a portata di mano (andarci vicino, purtroppo, conta solo a bocce) ma ha comunque scaldato diversi cuori. Ripensare ad un sindacato unitario oggi in una situazione completamente diversa sembrerebbe decisamente una iperbole.
Cosa rendeva allora ipotizzabile quella prospettiva? Innanzitutto la richiesta proveniva dal basso soprattutto dalle grandi fabbriche del nord. In secondo luogo era la contrattazione aziendale a creare condizioni di convergenza. Infine, per un certo numero di anni (pochi), i sindacalisti di mestiere venivano plasmati e quindi prodotti da quell’esperienza. A dire il vero soprattutto nelle categorie industriali della CISL. In CGIL e in UIL erano, al contrario, molto più cauti.
Oggi, di quel periodo, è rimasto un ricordo positivo soprattutto nei protagonisti del passato. E in alcuni intellettuali allora vicini al sindacato. E’ pensabile riproporre oggi un modello analogo in un contesto completamente diverso sia per quanto riguarda la qualità dei gruppi dirigenti che le opzioni organizzative? Personalmente lo credo molto difficile.
La manifestazione di febbraio sembrerebbe confermare questa impostazione. Gli attuali gruppi dirigenti sono nati e cresciuti fuori dal perimetro di una strategia autenticamente unitaria. Non solo a livello di segreterie confederali. La scelta, nella costruzione dei gruppi dirigenti, di privilegiare la fedeltà alle leadership che si sono succedute soprattutto in CISL e UIL, ha impedito l’affermarsi di una vera dialettica interna impedendo l’emergere esplicito di differenze o di convergenze. E laddove sono emerse sono state comunque sovrastate da una sorta di unanimismo di facciata che ha cercato di emarginarle o avversarle fomentandogli contro gruppi di potere, modeste invidie personali e rancori.
Un’intesa di vertice quindi non sarebbe certo sufficiente. Il problema è però che il contesto attuale chiede risposte chiare e comportamenti coerenti. Oggi, purtroppo, si tende ad affrontare temi complessi a colpi di slogan, spesso avventati. Se in passato questa era, a volte, una prerogativa del sindacato, oggi è la Politica ad usare la stessa arma. Un’arma spuntata che, di fatto, tende a rinviare i problemi all’infinito.
Ma le occasioni, in politica, non capitano due volte. Oggi il Governo vuole confrontarsi con i sindacati confederali, così come Confindustria vuole dare continuità al cosiddetto “Patto della Fabbrica”. La Cgil, con Landini e i nuovi ingressi in segreteria credo abbia in mano le carte migliori. “Politici” e abili negoziatori sembrano ben assortiti. Non penso, in questo momento, la stessa cosa di CISL e UIL. Le leadership solitarie (o autoritarie) non bastano più. Il rischio che alle prime difficoltà i tavoli comincino a traballare resta molto forte.
L’interlocutore politico giallo verde non ha particolare esperienza negoziale e anche questo non è un bene. Resta Confindustria. In questo momento non sembra disturbata da altri protagonisti sul fronte datoriale e ha la base in fermento per le sacrosante preoccupazioni sul futuro del comparto e del Paese. Dovrebbe osare di più scommettendo sul decentramento contrattuale, accettando la certificazione del peso della rappresentanza datoriale, evitando la trappola del salario minimo e costruendo un patto vero per lo sviluppo insieme ai confederali.
Il Governo giallo verde credo tema questa saldatura e farà di tutto per impedirla. Ed è su questo che CISL e UIL, pur con tutte le difficoltà derivate da un eccesso di leadership personale, potrebbero rientrare in campo esercitando quella moderazione necessaria al buon esito di una trattativa altrimenti destinata al “nulla di fatto”. Non serve distinguersi, serve capitalizzare questo momento a vantaggio dell’insieme del sindacato. Anche perché dietro l’angolo non c’è nulla di meglio per il mondo del lavoro e dell’impresa. Soprattutto in una prospettiva di nuove elezioni.
Da tutto questo però può passare un cambio di passo vero del sindacalismo confederale. Dario Di Vico lo intravede e lo valuta positivamente (http://bit.ly/2O5KHEt). Personalmente lo condivido e aggiungo che questo potrebbe segnare l’inizio di una prospettiva diversa per l’insieme della rappresentanza se i rispettivi gruppi dirigenti avranno la sensibilità di comprenderla e di praticarla fino in fondo.