Marco Bentivogli è un sindacalista serio, ottimista e lungimirante. È nato e cresciuto nei metalmeccanici della CISL. Intransigente sui valori, aperto, curioso e impegnato sui temi dell’innovazione tecnologica e sociale. Negoziatore intelligente, Bentivogli non nasce a caso nella CISL.
È figlio d’arte. È un prodotto di quella cultura, la respira e la riproduce rappresentando un segnale della volontà e della capacità di rinnovamento dello stesso sindacalismo confederale. È contemporaneamente punto di arrivo di una storia importante ma anche di possibile ripartenza.
L’errore che si sta commettendo da più parti è di contrapporlo pregiudizialmente a Maurizio Landini. Bentivogli è rappresentato come il sindacalista moderato, amico delle imprese, Landini come quello intransigente, amico dei lavoratori. Niente di più sbagliato.
Sono entrambi sindacalisti prodotti originali delle loro esperienze personali. Il primo, avendo capito che la persona è il fulcro nel processo di cambiamento in corso nell’impresa e nel lavoro vede una grande opportunità per il sindacato e la gioca in prima persona in campo aperto. Il secondo coglie anch’esso i rischi di questi cambiamenti epocali ma sceglie di attrezzarsi per difendersi dalle conseguenze percorrendo strade più tradizionali. Almeno per il momento.
La stessa vicenda FCA (paradigmatica nelle sue dinamiche) che ha spaccato il sindacato metalmeccanico non avrebbe permesso il rinnovo del contratto nazionale senza un lavoro comune tra i tre segretari generali. Il cosiddetto “Trio Metal”. Un lavoro che ha portato ad una mediazione intelligente che ha ingaggiato tutte e tre le organizzazioni e rafforzato l’insieme del sindacalismo confederale. Senza quella firma non ci sarebbe stata alcuna ripartenza. Non solo per i metalmeccanici. Tra i due c’è sempre stato un confronto di idee, non una sterile competitività personale.
L’avversario vero di Bentivogli e di chi vorrebbe cambiare passo è la mediocrazia che attraversa, purtroppo, tutti i gruppi dirigenti del sindacato e che muove gruppi di potere, resistenze, invidie e gelosie con un unico obiettivo: impedire un vero cambiamento, innanzitutto culturale e organizzativo che metterebbe in discussione i numerosi orticelli personali e le pigrizie organizzative creati negli anni.
Nessuno, con un minimo di buon senso auspica oggi un sindacato unico. Quindi il confronto non può che essere sulle idee, sul modo di intendere il cambiamento necessario del lavoro, sul salto di paradigma imposto dalla rivoluzione tecnologica ma anche organizzativa e sul ruolo stesso dei corpi intermedi.
Il libro, anzi, i libri scritti da Marco Bentivogli servono per capire non solo cosa sta succedendo nel lavoro e nell’impresa ma quale ruolo dovrebbe avere la rappresentanza (tutta la rappresentanza) se non vuole essere travolta.
Nel caso di Bentivogli verrebbe da dire, prendendo a prestito i vangeli, che “Nessun profeta è gradito nella sua Patria”. Altrimenti non si spiegherebbe la volontà più o meno esplicita di tenerlo alla larga dai vertici della sua Confederazione.
Fortunatamente, però, i metalmeccanici hanno la testa dura e insistono imperterriti a scuotere il torpore, inteso come mancanza di protagonismo propositivo ma anche di pigrizia intellettuale, che caratterizza da troppo tempo l’iniziativa confederale. La CISL, è bene sottolinearlo, nella sua storia ha sempre avuto ben altre ambizioni. E deve continuare ad averne.
L’ultimo libro: “Contrordine Compagni” va letto come un importante tentativo per un sindacalista di provare a muoversi dentro un cambiamento epocale senza limitarsi a subirlo. Contiene un’intuizione forte che non è affatto esagerato paragonarla a quella che ebbero negli anni 70 gli stessi metalmeccanici della CISL che colsero, ben prima di molti altri, i segnali di un cambiamento sociale e politico di cui furono tra i principali protagonisti.
La differenza sta nel fatto che allora furono i cambiamenti sociali a pretendere un cambiamento nel lavoro mentre oggi sta avvenendo il contrario con la stessa dirompenza. Il cuore del libro sta qui. Marco Bentivogli non ci propone un esercizio di stile fine a se stesso.
Nel ripercorrere le caratteristiche delle nuove tecnologie, i tempi di implementazione, le conseguenze per le imprese e per il lavoro segnala l’urgenza di un necessario riorientamento culturale e organizzativo per il sindacato e per la politica.
Segnala l’insufficienza della vecchia cassetta degli attrezzi del mestiere del sindacalista e lancia alle stesse imprese una sfida che pone al centro la persona, la sua realizzazione nel lavoro, il suo contributo alla crescita dell’impresa stessa e quindi la necessità di definire nuovi strumenti contrattuali che valorizzino la partecipazione, il merito e la crescita professionale.
Bentivogli punta deciso ad un’impresa e ad un lavoro che ridefiniscono insieme i confini fisici, la stessa qualità e quantità necessaria, il suo riconoscimento, i nuovi strumenti di welfare e le tutele connesse a questi cambiamenti. Non sta parlando d’altro. E’ l’esatto contrario del sindacalista che a parole contesta il cambiamento sfiorando il luddismo ma poi dimostra tutta la sua impotenza accodandosi e subendo come ineluttabili le scelte delle imprese.
Bentivogli non lascia solo il lavoratore costringendolo a scegliere tra un populismo difensivo che individua nell’altro o nella tecnologia stessa la causa delle proprie disgrazie e l’accettazione individualistica alle conseguenze della globalizzazione. “Contrordine compagni” è un testo che “usa” la tecnologia per parlare di senso, di futuro possibile, di persone, di sindacato. Quindi di politica.
Per questo il suo è un libro da leggere e da consigliare. Così come non è possibile non condividere la sfida per ciascuno di noi contenuta nelle conclusioni di Bentivogli: “Dobbiamo guardare avanti, riaccendendo la radice etica di qualsiasi progetto umano. Non possiamo aspettare quel pezzo di élite pigra, già accomodata che procede così lentamente da farsi superare dal passato….
L’ora è giunta”.