A mio modesto parere il sindacato confederale ha sbagliato a non cogliere l’opportunità. Ha preferito riproporre una cerimonia nel solco della tradizione. I segnali provenienti dal mondo delle imprese non sono stati colti. Sfumature diverse ma risultato identico.
Le imprese non possono partecipare ai festeggiamenti del primo maggio. L’unica concessione viene da Annamaria Furlan segretaria generale della CISL con un generico: “..per il momento”. Credo sia un errore. La mano tesa è stata sostanzialmente respinta al mittente.
Tra l’altro il primo maggio non è la prima “festa” che viene in qualche modo sottratta all’esclusiva. E’ già successo con il 25 aprile e con l’8 marzo. Una parte ha dovuto rendersi conto che senza un coinvolgimento e una responsabilità condivisa di ciò che quelle feste rappresentano si rischiava di perderne il significato profondo e trasformarle in liturgie che non avrebbero retto il tempo. Vengano pure gli imprenditori emiliani al corteo senza però farsi notare troppo. Sul palco però no.
Un dato è certo e non va sottovalutato: il rinnovo del contratto nazionale dei metalmeccanici ha segnato una svolta. Non coglierlo è un errore. Da una cultura sostanzialmente fordista le imprese del settore hanno fatto un passo avanti importante. Si può giudicarlo insufficiente, modesto, irrilevante ma quel passo c’è stato. Le persone sono tornate al centro delle loro imprese.
Il contratto non ha solo confermato intuizioni e volontà del sindacato di categoria ma ha anche certificato l’interesse delle aziende, tramite Federmeccanica, a non escluderlo a priori. Tutto fatto, quindi? Assolutamente no. Per il momento il contratto ha recepito una volontà a cui deve seguire necessariamente la sua concretizzazione.
Lo stesso “Patto della Fabbrica” andava e va in quella direzione. Segnali importanti? Io credo di sì. Le aziende, metalmeccaniche o meno, si stanno muovendo in questa direzione da anni. E senza il sindacato.
Come sottovalutare, ad esempio, la scelta di diverse imprese della GDO di rispettare il primo maggio annunciando contemporaneamente la disponibilità ad ulteriori chiusure all’insegna del rispetto di alcune festività civili e religiose. Anche questo segnale assolutamente sottovalutato dal sindacato di categoria.
L’impresa che ci crede esce, magari a fatica, da vecchie logiche di gestione del personale e comincia ad integrarsi nel territorio, proporre politiche di sviluppo professionale ai propri collaboratori, investire nella loro formazione, nel welfare aziendale con lo scopo evidente di creare quel giusto clima interno, elemento indispensabile per favorire coinvolgimento sugli obiettivi di business.
La richiesta degli imprenditori emiliani di essere protagonisti insieme al sindacato confederale era un segnale di attenzione. Sottintendeva la convinzione che la globalizzazione, insieme, si potrebbe affrontare con maggiore forza. Che non c’è solo uno sviluppo individuale delle persone.
Insieme si può costruire una diversa consapevolezza sociale che freni le derive populiste, vero pericolo e non solo nel nostro Paese. A tutto questo non si può replicare banalizzando la richiesta o sottoponendo a esami di coerenza l’intero mondo imprenditoriale ritenuto tutto uguale. Grigio come tutti i gatti di notte.
E’ questa mancanza di volontà a cogliere i segnali di cambiamento che ci sono e, di conseguenza di separare il grano dal loglio, che impedisce alle relazioni industriali di crescere e di rinnovarsi.
Non bastano gli accordi confederali. La fiducia si conquista facendo piccoli passi nella giusta direzione. La posta in gioco è molto alta. Nelle sfide globali si vince o si perde insieme.
C’è chi l’ha capito e chi, purtroppo, non ancora.