Corpi intermedi. Confcommercio, la sua Assemblea generale e la salita del Mortirolo…

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La recente conclusione del Giro d’Italia mi ha fatto venire in mente, mentre ascoltavo Carlo  Sangalli in streaming, la fatica, il sudore e la tensione mentre i ciclisti arrancano sulla  salita del Mortirolo. Gioia e delizia per gli aspiranti scalatori, quella salita, ne segnala plasticamente i limiti fisici e motivazionali.

L’assemblea generale della Confederazione, d’altra parte,  è una grande messa annuale che raduna l’elite del popolo di Confcommercio. In diretta o in streaming non ne ho persa una, almeno negli ultimi dieci anni. La partecipazione è sempre numerosa, attenta, le persone sono orgogliose di essere lì. L’organizzazione è un po’  “spintanea” ma chi viene si sente importante, trait d’union tra i sempre irrisolti problemi quotidiani e la politica che conta. I selfie con i politici che vanno per la maggiore  si sprecano.

Con gli altri, no. Al massimo una battuta  al bar dell’auditorium o nella sala VIP dove qualcuno cerca di intrufolarsi sotto lo sguardo distratto degli uomini e delle donne di piazza Belli. Sergio Mattarella, dovendo scegliere,  ha scelto l’assemblea di Confindustria quindi qui ha mandato un suo messaggio. Sempre gradito, ovviamente. Il Presidente del Consiglio era impegnato dall’altra parte del mondo, Matteo Salvini era altrove.  Il Presidente del Senato è rimasto giusto il tempo della relazione per successivi  impegni di lavoro.

C’era però Luigi Di Maio. Ha concluso anche lui con un intervento asciutto, di circostanza, prendendosi qualche applauso sull’IVA ma si capiva che non si sentiva a suo agio. E’ stata la conclusione di una fredda giornata iniziata con una relazione che ho ascoltato con grande attenzione letta dal Presidente in modo altrettanto freddo.

L’ho visto stanco, provato, fuori contesto. Si capiva che leggeva il testo. Questa è la prima novità. Non ha mai dato quella impressione. Nelle assemblee precedenti provava e riprovava davanti ad un pubblico ristretto di fedelissimi nei giorni precedenti all’evento. Battute, pause, citazioni si alternavano con una retorica di altri tempi ficcante e sempre originale.

Carlo Sangalli lo si può criticare per tante ragioni; non per la sua capacità oratoria  che quel giorno, da almeno due lustri, rappresenta  il suo momento clou dell’anno. Ce n’è sempre stato  per tutti ma  con quella sottile grazia un po’ democristiana dove critiche e ammiccamenti spingevano qualsiasi interlocutore politico, anche di primissimo piano, invitato  a concludere l’assemblea, a chiamarlo “Carluccio” per sottolinearne l’intimità e la profondità della relazione di amicizia da intendersi estesa all’intera Confederazione. Senza mai farsi reciprocamente  del male..

Solo un ministro dello sviluppo economico, Federica Guidi, sbagliando nome, un giorno lo chiamò “Carletto” provocando le ire della platea che diede il via ad una serie di contestazioni scatenate più per la storpiatura del nome del Presidente che per altro.

Questa volta Luigi Di Maio lo ha tenuto a distanza con il “Lei” e chiamandolo Presidente Sangalli. Quasi a sottolinearne l’estraneità personale e generazionale e temendo, forse, la prevedibile tendenza salviniana della platea in presenza di un ormai evidente, quanto inevitabile,  declino di  Berlusconi.

Il Presidente si è mangiato diverse parole e questo non è da lui ma ha anche accettato un testo povero di contenuti politici. Con Vincenzo Boccia che imperversa da settimane sulla scena rischiando addirittura di essere accusato di eccessivo “gioco di gambe” con la politica, Carlo Sangalli ha scelto di interpretare un ruolo più immobile, forse più rasoterra (vedi la parte sui registratori di cassa) e più vicino ai fogli Excel dell’ufficio studi. Eppure tra i ghostwriter a disposizione non mancano quelli più portati all’empatia con le platee confederali.

Insomma ha deciso che questo è il momento di non infastidire nessuno.

Un europeismo un po’ troppo  di facciata, una sostanziale superficialità  sul lavoro da lasciare sbigottiti visto il peso e le ripercussioni del salario minimo sul nostro welfare in una categoria già ricchissima di contratti pirata, nessun accenno ai cambiamenti profondi che scuotono il settore della distribuzione commerciale. La solita tiritera di prammatica sulla web tax. E, ovviamente, l’IVA, l’ultima trincea che tutti smentiscono di voler affrontare ma sulla quale le preoccupazioni sono alle stelle.

Una relazione, questa, che non lascerà certamente il segno. Infatti nessuno l’ha raccolta. Né raccontata. Però  si vedeva che non era lui. Appunto, arrancava sul Mortirolo quasi volesse concludere quella fatica, pur programmata,  nel più breve tempo possibile.

Chi gli sta intorno, ovviamente, avrà avuto tutt’altra impressione. Va bene così. Io ho raccontato la mia. 

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