Da sempre il contratto nazionale firmato da Confcommercio è definibile come una sorta di contratto “omnibus”. Ha altresì prodotto decine di imitazioni in dumping tra di loro. I cosiddetti contratti pirata..
Ad un certo punto ha assunto, forse un po’ pretenziosamente, la denominazione “del terziario” proprio per i suoi possibili sconfinamenti applicativi. È arrivato prima di altri, ci ha creduto ed ha così potuto presidiare un territorio sconosciuto: il terziario di mercato. Lo può utilizzare chiunque.
Applicato per la sua duttilità (e il suo basso costo) anche fuori dai confini del comparti di pertinenza stretta ha una caratteristica unica nel panorama della contrattazione. C’è chi lo rispetta nel suo insieme, chi oltre all’applicazione integrale aggiunge una sua contrattazione aziendale e chi utilizza solo i minimi previsti. Nelle piccole e piccolissime aziende è, di fatto, così. Una salario minimo ante litteram.
Questa flessibilità applicativa è sempre stata la sua forza e ne ha garantito la sua estensione nel tempo. E importanti vantaggi economici per i suoi firmatari. Contemporaneamente garantisce ai lavoratori un interessante welfare contrattuale. Tutto bene quindi? No. C’è il rischio concreto che questo modello sia arrivato al capolinea.
Innanzitutto dovrà reggere la concorrenza del salario minimo ormai in dirittura di arrivo. Almeno due livelli contrattuali perdono il confronto con le proposte dei 5S. In commissione parlamentare tutti sperano che l’asticella possa essere abbassata ma le dinamiche della politica non fanno presagire nulla di buono sugli esiti finali. C’è un costo del welfare e parte della normativa che rischiano di fare la differenza. E c’è il conseguente rischio di pressioni verso l’alto dei costi per le imprese. L’intervista di oggi a Maurizio Firpe Vice Presidente di Confindustria lo conferma (http://bit.ly/2N0pRd8).
Il pericolo di fuga delle piccole realtà dalla sua applicazione verso il salario minimo è evidente. Già questo dovrebbe indurre alla riflessione almeno i contraenti del CCNL più importante. Che, al contrario, tacciono. A questo rischio mi permetto di aggiungerne un’altro altrettanto insidioso per Confcommercio.
L’intesa tra Confindustria e Confimprese può aprire, essa stessa, nuovi scenari degni di approfondimento. Innanzitutto quest’ultima porta in dote all’accordo, imprese importanti della filiera industriale non solo alimentare, della distribuzione e del terziario di mercato che non vogliono sentire parlare di regolamentazione delle domeniche e dei festivi. Quindi Confindustria si schiererà, anch’essa, se non lo ha già fatto, su questa posizione.
La mediazione raggiunta dalle altre organizzazioni (Confcommercio, Federdistribuzione, ecc.) sarà così esposta al vento e ulteriore motivo di contrasto. Di fronte ad un Governo che attacca le imprese della GDO in un momento difficile l’aver inseguito una mediazione tra organizzazioni rischia di essere interpretato dalla politica come un buon punto di partenza di un negoziato anziché un immodificabile punto di caduta. Ma non è finita qui.
Dopo la firma del CCNL di Federdistribuzione, Confindustria, anche a seguito della recente intesa con Confimprese, potrebbe legittimamente rivendicare una sua proposta di contratto nazionale sul terziario di mercato che inizi a guardare agli interessi comuni della filiera, soprattutto in tema di collaborazione e di tutela del made in italy in modo più moderno ed efficace e che superi sia i vincoli imposti dagli accordi interconfederali firmati da Confcommercio che le logiche sottese.
Confindustria ci aveva già provato ai tempi del “Patto della fabbrica” ma si era dovuta fermare per l’opposizione del sindacato e di Confcommercio vincolati dall’accordo interconfederale oggi superato dalla firma nella GDO che ha riconosciuto una rappresentatività reale anche a Federdistribuzione. Con l’accordo con Confimprese siamo in una situazione analoga.
Il punto vero è che dietro il CCNL del terziario siglato da Confcommercio c’è un sistema bilaterale importante che rischia grosso anch’esso. Il combinato disposto del salario minimo che insidia dal basso il CCNL e di un possibile contratto che offra al terziario una nuova impostazione metterebbe in seria crisi la logica sulla quale è stato costruito il vecchio CCNL oggi in vigore.
Aggiungo che una sana concorrenza sull’intero sistema bilaterale e sugli enti collegati consentirebbe comunque una maggiore trasparenza complessiva. E di questo ce n’è assolutamente bisogno. La compianta Jole Vernola ha cercato spesso di far riflettere l’intera Confederazione su questo punto. Purtroppo non sempre ascoltata.
Stesso discorso sul contratto dei dirigenti. Oggi un’isola felice. Solo poco più di un terzo delle aziende che applicano l’ottimo contratto firmato tra Manageritalia e Confcommercio è iscritto a quest’ultima organizzazione. Molte sono già iscritte a Confindustria o sono seguite dalla sue associazioni territoriali. Penso a tutte le imprese del terziario di derivazione industriale.
Quindi esiste un problema di rappresentatività che non ha Manageritalia che, al contrario, iscrive la quasi totalità dei manager. Anche sui dirigenti, infatti, Confindustria, insieme a Confimprese, potrebbero legittimamente pretendere un ruolo contrattuale alla stessa stregua di Confcommercio. Con tutte le conseguenze sulla gestione dei fondi e degli enti contrattuali collegati.
Confcommercio, per come è messa oggi, non credo sia in grado di ingaggiare una competizione sull’innovazione contrattuale nel terziario di mercato. Visto dall’esterno non sembra avere una strategia sul lavoro e sui suoi cambiamenti. L’area tecnica è stata indebolita e sottovalutata nella sua importanza e la responsabilità politica del lavoro e della stessa bilateralità è stata affidata a politici magari ambiziosi e entusiasti dell’incarico ricevuto ma privi dell’esperienza necessaria.
Gli stessi sindacati lasciano trasparire notevoli perplessità sui nuovi interlocutori. In Confindustria la delega sul lavoro è affidata al vice Presidente Maurizio Stirpe. Ed è seguita direttamente dal suo Presidente. E, chi mi conosce, sa quanto mi costa ammettere questa asimmetria di competenze avendo sempre creduto e lavorato per cercare di ridurle. Ma la realtà è questa.