C’è qualcosa che non mi convince nella riflessione di Angelo Panebianco (http://bit.ly/2RyoNf4). Innanzitutto i termini che vengono utilizzati per identificare un perimetro elettorale appartengono ad una cultura politica che li riteneva distinti e, per certi versi distanti, in una fase dove, comunque, il centro democristiano li inglobava tutti o quasi nel proprio sistema solare.
A sinistra c’erano i comunisti e poi, via via, i loro discendenti con le varie nuance, a destra il movimento sociale. Anch’esso con varie filiazioni successive niente affatto moderate. Tolto i radicali di Pannella e Bonino che cercavano faticosamente di mantenersi fuori, liberali, moderati, partito della spesa pubblica e rigoristi si sono mossi spalla a spalla. Un’area elettorale litigiosa unita solo dal non volere né i comunisti né l’estrema destra.
Quei termini, allora dotati di profondo significato, non descrivono oggi nulla di elettoralmente significativo. Esiste un’area che non vuole né la Lega né i 5S ma anche né il PD né altri. E questo è, da parte mia, l’unico punto di contatto con l’analisi di Panebianco. Quest’area giudica fallimentari entrambe le esperienze politiche di centro destra e di centro sinistra precedenti all’avvento dei cosiddetti “nuovi” soggetti.
Ad oggi, salvo considerare parte dell’astensione figlia di questa esigenza, la crisi tra i cosiddetti moderati e le leadership estremiste non c’è ancora stata. I risultati elettorali di Carlo Calenda nel Veneto, pur irritato dall’immobilismo del Governo, non sono stati tali da far pensare ad una nuova ricerca in corso. Senza i voti del PD avrebbe faticato a superare lo sbarramento.
L’elettorato, e questo sarebbe meglio considerarlo, non ha ancora percepito alcun rischio né per i propri risparmi né per il proprio status sociale collegabili in tutto o in parte all’azione di Governo. C’è un disagio, certo, ma questo non ha impedito al cosiddetto partito del PIL del nord di ripiegare sulla Lega al momento topico. Scegliendo tra candidati.
Credo che ci sia una diffusa sensazione che domanda e offerta politica siano indotte da una parte della vecchia classe dirigente politica e intellettuale in cerca di rilegittimazione. Non nell’elettorato che, al contrario, fantastica soluzioni immaginarie tipiche di chi pensa che le soluzioni vengano sempre dal cambiamento dei comportamenti elettorali altrui. Questo è il punto che manca nell’analisi di Panebianco.
La DC vinceva perché sapeva governare le contraddizioni di un Paese che voleva essere lasciato crescere. E che non voleva sentir parlare né dei costi né delle conseguenze. La sua classe dirigente era sostanzialmente mediocre ma crescita e spesa pubblica ne mascheravano i difetti. La stessa comunicazione pro o contro era ridotta a noiosi esercizi di stile.
Nessun uomo politico della prima o della seconda repubblica supererebbe oggi da leder di una sua forza politica la soglia di sbarramento del 4% in qualsivoglia elezione. Basterebbe osservare la rapida caduta di credibilità dell’ex Presidente Napolitano non appena ha perso il ruolo di arbitro. Stessa sorte toccherebbe al Presidente Sergio Mattarella se venisse utilizzato in ruoli diversi dal suo.
Quindi il problema non sono le prossime elezioni o la ricerca di un antidoto credibile per un elettorato disilluso e rancoroso però non necessariamente di estrema destra. Non abbiamo bisogno di evocare Mario Draghi per suscitare emozioni. Le vecchie ricette non funzionano più. Occorre ripartire dalla constatazione che oggi non c’è ancora alcuna consapevolezza se non in nicchie ristrette e spesso non comunicanti tra loro, della società. E che l’OPA ostile sul centro delle due attuali opposizioni ancora non estremiste (PD e Forza Italia) rischia di essere la famosa pezza peggio del buco.
I leader del cosiddetto partito del PIL o dei SITAV sono sconosciuti ai più. Così come i giovani che si affacciano in formazioni politiche nuove. Esistono poi personaggi interessanti nei corpi intermedi e nel volontariato o nelle scuole di politica che nascono sotto diversi cappelli. E una marea di giovani amministratori locali che si impegnano per il bene comune. In quelle aree c’è il nuovo che avanza.
Inutile cercare leader tra le generazioni che hanno contribuito, in buona o mala fede, a consegnarci all’estremismo sovranista o populista che dir si voglia. O si sono nutriti di spesa pubblica. Occorrono pazienza e fiducia. Come nel resto d’Europa avremo, anche noi, un governo di destra.
Anziché voler reinventare la ruota sosteniamo l’entusiasmo e la voglia di cambiamento che nasce dal basso. Comprendiamone gli errori veniali e non sottolineamoli immediatamente con la penna rossa. Il nuovo non nasce solo dai vecchi solchi di una parte o dall’altra. E nemmeno in mezzo come fossimo nel 900.
Nasce altrove. Innanzitutto dai messaggi positivi. Personalmente sono rimasto colpito dall’accoglienza che Marco Bentivogli un leader sindacale ha avuto tra i giovani di Volt Italia impegnati nel loro percorso di crescita politica e poco avvezzi alle materie del lavoro e dell’innovazione sociale.
Cosa significa essere moderati, liberali o alternativi agli estremismi io lo chiederei a loro o alle altre migliaia che fanno politica per passione. Sono loro il nostro futuro e non vivono come noi l’ansia da risultato immediato. Così come salviniani e grillini ci hanno purtroppo colti impreparati dobbiamo sapere che anche quest’area di protagonismo convinto che nasce dalla volontà di dedicarsi al proprio Paese ci sorprenderà.
Non mettiamogli subito un’etichetta o costringiamoli in uno schema per loro improponibile. Aiutiamoli a crescere nella consapevolezza del loro ruolo e della loro forza. Il futuro è loro. Lì, è solo lì, c’è un cambiamento possibile.