Chi non ha il coraggio di dire ciò che pensa, finisce col non pensare se non quello che avrà il coraggio di dire. A. Loria
Dal tono e dalle numerose telefonate e mail di incoraggiamento che ricevo quotidianamente ho capito di aver centrato il problema. Sia quelli che mi chiedono di continuare sia quelli che trovano inusuale la mia modalità di sollevare i temi proposti sul modello del “samizdat”, in uso nell’Unione Sovietica negli anni 60, convengono su un punto preciso: l’era Sangalli è comunque al tramonto.
A loro volta poi si dividono in tre categorie. Nella prima cerchia troviamo i pasradan. Quelli che mi fanno arrivare accuse di ingratitudine, di esternare in nome e per conto terzi e di personalizzare lo scontro. Difficile scalfirmi con queste argomentazioni. Devo ammettere, però, che la mia personalizzazione è evidente. Prendermela con i muri non è mai stato tra i miei obiettivi.
Nel caso dell’anziano Presidente, però, non c’è accanimento. Ritengo che sostenere che sia arrivato il tempo, per lui, di farsi da parte è democrazia. E lui, per primo, dovrebbe capirlo.
Nel caso di altri “accanimenti” la vox populi è molto più tranciante del sottoscritto. I riferimenti alla nomina del cavallo di Caligola a console si sprecano. Personalmente ho trovato solo un’analogia con il nome di quel famoso cavallo: “Incitatus”. Credo calzi a pennello.
Intorno ai pasradan, nella prima cerchia, ci sono tutti coloro che hanno qualcosa da perdere. Un’amicizia che non vogliono mettere in discussione, un interesse locale, una poltrona, una speranza di ottenerla. Ė la palude tipica di tutte le organizzazioni di rappresentanza. I pasradan picchiano duro. Sui sentimenti, sui favori fatti e sulle poltrone.
Tutti coloro che hanno sollevato problemi sono stati rimossi, emarginati, colpiti con inutile cattiveria. Solo per dare l’esempio. “Colpiscine uno per educarne cento” funziona sempre. Qui ci si può trovare chi ha chiesto spiegazioni su come procedeva la vicenda delle molestie denunciate, chi della effettiva necessità o meno del nuovo Statuto, chi anche per vecchie antipatie personali. Chi vince, come sempre, non fa prigionieri.
Nella seconda cerchia c’è il ventre molle. Carlo Sangalli è come la coperta di Linus. Consente a tutti di lamentarsi sottovoce ma di poter continuare a comportarsi, come lui, a casa propria. Poche settimane prima della caduta di Sergio Billè erano tutti con il past president. Pochi giorni dopo il carro era già desolantemente vuoto. Sarà così anche per Carlo Sangalli. Nella terza cerchia c’è chi non vede alternative credibili e quindi sta acquattato in attesa degli eventi.
La situazione mi ricorda un po’ il bellissimo romanzo di Dino Buzzati “il deserto dei tartari”. Dentro la Fortezza Bastiani, come dentro la vita confederale si respira qualcosa di unico e di particolare. La Confcommercio, credo come tutte le grandi organizzazioni è anche un luogo di relazione, di amicizia, di impegno. Col passare del tempo ti accorgi che l’umanità che vi abita, i suoi problemi e le sue aspettative sono anche le tue. Non c’è solo la degenerazione del potere e i suoi scherani.
Pensare che possa esistere un luogo dove ci trovi da Amazon ai cassamortari, dal bottegaio di quartiere al manager di multinazionali ti fa comprendere di essere in un luogo unico, indispensabile in una comunità in cammino. Uno stare insieme che ha sempre garantito uno sbocco democratico e quindi che ha un ruolo importante nella società italiana. A prescindere da chi ne approfitta per propri obiettivi personali.
Personalmente sono soddisfatto di averle dedicato tempo, passione e impegno. E questo me lo porto dentro. Il romanzo di Buzzati affronta bene il tema. Io ci trovo un’identica catatonia. L’assenza o la ripetizione di decisioni sempre uguali a se stesse, la fedeltà al gesto e alla parola, li ripetersi all’infinito, senza mai alcuna differenza.
La Fortezza Bastiani come la Confcommercio entrambe prese in un eterno gioco dell’oca dove si torna sempre al via. Ripetendo lo stesso gesto. E quando intercetta comportamenti difformi, li annulla con la forza.
È chiaro a tutti, però, che serve un’alternativa credibile. Non basta la critica al presente. E per costruirla, a mio parere, Milano dovrebbe dare un suo contributo di ragionevolezza diverso dal passato. Oggi è una sorta di “Beverly INPS” inquadrata come una falange macedone. Controlla le risorse, ha occupato i posti chiave a Roma, detta le regole del gioco. Sicuramente è troppo forte per chiunque. Ma rischia la classica vittoria di Pirro.
Il suo carattere divisivo sta emergendo e infastidisce. Soprattutto nel confronto con le federazioni più dinamiche. Da qui il nuovo Statuto come strumento indispensabile per rifiutare ogni cambiamento. I pasradan stanno facendo terra bruciata intorno. Non è un bene.
Carlo Sangalli è un ombrello che indubbiamente impedisce la balcanizzazione ma il rischio c’è, comunque. Ed è nella prospettiva. E, ogni giorno che passa, si consolida l’idea che l’obiettivo di mantenere ad ogni costo lo “statu quo ante bellum” avrà un costo pesante. Anche per Milano. Vedremo.
Personalmente io temo più cedimenti improvvisi dovuti alla sottovalutazione dell’usura delle fondamenta e alla navigazione a vista. I segni premonitori ci sono già tutti.