Era il 1964 quando Bob Dylan cantava:”…se per voi il tempo ha qualche valore allora è tempo di cominciare a nuotare o affonderete come pietre perché i tempi stanno cambiando…”. Poco tempo dopo dal novembre del 1965 al dicembre 1966 si sviluppò una tra le vertenze sindacali più difficili: il rinnovo del CCNL dei metalmeccanici. 11 mesi di negoziato. I tempi stavano cambiando anche da noi. A suo modo fu un contratto storico, forse il peggiore come risultati concreti. Era, però, per la prima volta, un piattaforma unitaria.
Leggendo la nuova piattaforma unitaria dei metalmeccanici (http://bit.ly/2YFcpfc) il pensiero, non mi spiego il perché, è andato immediatamente lì. Cinque punti chiave allora (la famosa mano aperta ad indicare le cinque dita dei manifesti del 1966), sei oggi. 1) Relazioni industriali, diritti di partecipazione e politiche attive. 2) Contratto delle competenze, Inquadramento, Formazione. 3) Welfare Integrativo. 4) Ambiente, Salute e sicurezza sul lavoro. 5) orario. 6) Salario.
A prima vista può sembrare meno ambiziosa rispetto all’ultimo rinnovo in termini qualitativi. Ciò che non è stato fatto, anche per responsabilità delle imprese, ha pesato non poco. E si vede.
Ci sono, nel contratto in scadenza, tre passaggi che avrebbero permesso di accompagnare il lavoro che cambia e far fare un vero salto di qualità alle relazioni industriali del comparto: il diritto soggettivo alla formazione, la disponibilità a cominciare a mettere mano all’inquadramento professionale ormai obsoleto e l’individuazione del livello aziendale come elemento centrale della condivisione degli obiettivi di impresa e del riconoscimento del lavoro e della sua rappresentanza come soggetti attivi.
Erano certamente obiettivi qualitativamente ambiziosi ma alla loro condivisione in sede negoziale non è seguita una coerenza applicativa sufficientemente rapida e incisiva. Questa nuova piattaforma, al contrario, si presenta più quadrata. Più adatta ai tempi lunghi che rischiano di caratterizzarla.
La stessa richiesta salariale segnala un cambio di passo che rappresenterà il leit motiv di tutta la stagione dei rinnovi contrattuali. Sia in termini quantitativi che nelle modalità di erogazione. Marco Bentivogli è stato molto chiaro: “È ora che Federmeccanica accolga la sfida nei contratti e non solo nei convegni. Non si può valorizzare il lavoro con i minimi salariali più bassi d’Europa. Scommettiamo insieme sul lavoro industriale”.
Si chiude quindi una lunga fase prolungata dalla crisi e se ne apre una nuova. C’è una questione salariale all’ordine del giorno del Paese. Inutile negarlo. La stessa disponibilità confindustriale a lasciare l’eventuale riduzione del cuneo interamente ai lavoratori ne è una dimostrazione evidente.
Ma questi rinnovi si inseriscono in un contesto politico ed economico particolarmente problematico. C’è un Paese che sta scivolando a destra verso derive sovraniste mentre una parte dello stesso Governo insiste ad evocare e promettere sussistenze economiche, nazionalizzazioni e sforamenti del deficit che confermano un declino preoccupante e senza apparenti vie di uscita.
Una piattaforma come quella dei metalmeccanici segnala la volontà di entrare decisamente in campo per ristabilire precise priorità e far crescere intorno ad esse una vera mobilitazione sociale. Le confederazioni stesse dovranno decidere se abbandonare definitivamente il “titic e titoc” inconcludente nel quale sono stati trascinati dai fautori della disintermediazione e riprendere un loro ruolo che, al contrario, potrebbe essere decisivo.
Ma l’ambiguità, sia chiaro, dovrà essere sciolta non solo da loro ma anche dalle associazioni datoriali. Delle due l’una. O l’obiettivo è quello di rifugiarsi sotto l’ala di una destra che si prepara a governare senza fare sconti a nessuno (in questo caso il mio riferimento agli undici mesi del contratto del 1966 non è affatto casuale), oppure la pressione su ciò che è necessario fare per rimettere in piedi il Paese e stabilire delle priorità condivise deve diventare un patrimonio comune e deve aumentare decisamente di intensità.
I metalmeccanici con questa piattaforma e dopo la grande consultazione dei lavoratori coinvolti che possono ratificarla o meno, romperanno gli indugi. Come sempre.
La loro è, e deve rimanere, come è giusto, una normale vertenza contrattuale. Che troverà gli equilibri che dovrà trovare. Sono altri che sono chiamati a decidere cosa fare. Una cosa però è certa. I tempi stanno cambiando. Per tutti.